Dal bianco e nero al colore. A sei anni di distanza dalla sua più grande retrospettiva italiana, il maestro giapponese della street-photography torna in mostra a Modena al Foro Boario. Daido in Color inaugura con 130 fotografie, un periodo pressoché sconosciuto dell’esperienza artistica del fotografo di “Memories of a Dog”. 

Immagini graffiate, sfocate, sgranate, dal taglio inconsueto. È attraverso questo bisogno di distruggere la fotografia, espresso in Farewell Photography (1972), che mi sono imbattuta per la prima volta nel lavoro di Daido Moriyama. Nato a Osaka nel 1938, assistente prima di Takeji Iwamiya e poi di Shomei Tomatsu e Eikoh Hosoe, Moriyama è un’autore che non si dimentica. Vagabondo, oscuro, a tratti indecente, rapido e istintivo, rappresenta il Giappone che non conosciamo. L’esotico che immaginiamo pop e ludico e che invece ci viene restituito con un bianco e nero aspro e ruvido. Emblematica al riguardo è la foto che lo ha iconizzato: Memories of a Dog, dove un cane scuro, dallo sguardo greve ed enigmatico, fissa dritto in camera.“Clarity isn’t what photography is about”. La fotografia non deve puntare alla compostezza né alla bella forma, ma deve raccontare la realtà in maniera cruda e autentica.

Daido Moriyama, Untitled, 1970s. Courtesy of Fondazione Fotografia Modena.

In aperta controtendenza con i fotografi americani ed europei degli Anni Sessanta Daido fotografa Tokyo, con uno stile anti-fotografico. Si perde per cinquant’anni nel rumore e nella folla del quartiere di Shinjuku, tra nightclub, prostitute e gangsters della yakuza, catturando l’ambiguità morale e l’aspetto grottesco della vita di strada, come un Toulouse-Lautrec del Sol Levante. Ispirato dalla fotografia del documentarista americano William Klein e dal capolavoro di Jack Kerouac On The Road, Moriyama descrive la sua fotografia come una scarica di colpi di un aereo da guerra Spitfire, un’esperienza del mondo in movimento, erotica e immediata, senza nessun “momento decisivo” alla Henri Cartier-Bresson e nessuna schiavitù nei confronti della camera. Scatti sequenziali, continui, senza quasi mettere a fuoco, con macchine compatte. In Japan: A Photo Theater (1967), raccolta che lo consacra come miglior artista esordiente dalla Japan Photo Critics Association, mette insieme in maniera volutamente disordinata ritratti di attori di teatro con scene di vita quotidiana e istantanee dell’occupazione americana. Ad essere rappresentato è il Giappone post-bellico, sull’onda anche di una fascinazione per l’Ovest che contrasta con il rifiuto dei suoi predecessori. Osservare le strade come cani randagi guidati dalla serendipity, è questo il messaggio, totalmente viscerale che emerge dalle fotografie di Daido, o come dice lui stesso: “Voglio fotografare ciò che non riesco a comprendere: ciò che capisco posso tranquillamente tralasciarlo” (Intervista a Daido Moriyama, The World through my Eyes, a cura di Filippo Maggia, 2010).

Daido in Color, Untitled 1970s, Daido Moriyama, Courtesy Fondazione Fotografia Modena
Daido in Color, Untitled 1970s, Daido Moriyama. Courtesy of Fondazione Fotografia Modena.

E ancora: “(…) Jack Kerouac riusciva a trasmettere immagini fotografiche dei suoi viaggi attraverso la macchina da scrivere (…). La realtà del viaggio è quello che vivo spostandomi, non un luogo dove arrivare” (Intervista a Daido Moriyama, Tokyo Shinjuku, a cura di Filippo Maggia, 2010). Non c’è meta, come non c’è scatto giusto o sbagliato ma semplicemente il bisogno di scavare, di guardare alla strada con gli occhi del subconscio, catturando l’essenza di un mondo intossicato. È questo anche l’intento della rivista Provoke (1968), la cui storia fatta di soli tre numeri, si intreccia con l’esperienza di Moriyama, nell’ottica di una trasformazione radicale del linguaggio della fotografia giapponese.  “Il bianco e nero racconta il mio mondo interiore, le emozioni e i sentimenti più profondi che provo ogni giorno camminando per le strade di Tokyo o di altre città, come un vagabondo senza meta. Il colore descrive ciò che incontro senza filtri, e mi piace registrarlo per come si presenta ai miei occhi” (Daido Moriyama, da Allora e mai più, testo a cura di Filippo Maggia). Se la fotografia in bianco e nero, istintiva e successivamente più concettuale, rappresenta la grande eredità iconografica del maestro giapponese, esiste anche un Daido Moriyama sconosciuto. Un archivio vastissimo di scatti a colori che risalgono alla fine degli Anni Settanta e ai primi Ottanta, gran parte inediti, che sostituiscono ai toni duri e graffianti precedenti, atmosfere malinconiche, pop e acide. Kangego and Colors (2008) e Mirage (2013) sono i due volumi in cui Moriyama settancinquenne si confronta con i temi di sempre, ingentiliti però dal colore e meno angoscianti. Di questo filone fanno parte anche fotografie bondage, commissionate dallo scrittore erotico Oniroku Dan, scatti per l’edizione giapponese di Playboy e le tante donne di Moriyama, amanti o modelle, ritratte in qualche angolo di Tokyo, lungo i marciapiedi o in mezzo ai campi.

 

Articolo pubblicato su Dailybest.

Daido Moriyama in Color
6 marzo – 8 maggio 2016
Modena, Foro Boario
fondazionefotografia.org