Il sistema erratico rovescia le costruzioni tendenziose dell’Occidente passato e contemporaneo che, attraverso le industrie culturali e il capitalismo di massa, continua a definire gerarchie e a mantenere geopolitiche di stampo orientalista. Va in questa direzione il percorso politico-concettuale dell’artista nigeriano Olu Oguibe, che insofferente verso tutte le categorie di alterità, da quella etnica a quelle prodotte dal multiculturalismo, e interessato ai postulati teorici della postmodernità, in Etnographia affronta il tema dell’esotismo mostrandone caducità e illusorietà. In questo ciclo di lavori, che riflettono sull’invenzione di tipologie etniche false che rispondono alle aspettative di una fruizione facile e stereotipata da parte dell’industria culturale, svela come la produzione iconografica sia fondata sull’inganno etnologico (Macrì Teresa, Postculture, pag.109). “Fotografie femminili, in bianco e nero, sovraimpresse a fogli di appunti scritti a mano (che alludono alla storiografia) vengono definite da false attribuzioni di appartenenze etniche. Apparentemente, il costrutto formale delle opere sembra rispondere ad una veridicità identificativa, lungi dallo stabilirne, in un atto di verifica storica, la ingannevole rappresentazione” (Teresa Macrì, Postculture, pag.109).
Attraverso la combinazione di pensiero filosofico e fare artistico Oguibe sollecita una revisione del processo con cui la modernità è diventata parte integrante della nostra epoca, modificando l’individuo (sia all’interno della società egemone che in quelle subalterne) che, sempre più dislocato e disconnesso, ridefinisce se stesso per mezzo di incarnazioni estetiche. Ciò che si gioca in questa fase della modernità è l’autenticità. Sempre sul rapporto tra “plagio immaginario” di ieri e cannibalizzazione culturale di oggi, riflette un altro artista africano: Godfried Donkor che analizza le icone mediali cercando di dimostrare l’abbaglio attraverso cui l’Occidente scambia la propria arroganza politica per potenza culturale, esasperando, nell’incontro tra globalizzazione, vecchia e nuova religiosità, la relazione tra potere e sapere. Nelle tele di Donkor viene sovraimpresso uno spazio di recupero e riscatto che scomoda le nozioni di identità politica e filosofica nera, costruite all’interno delle società bianche, evidenziando come abbiano segnato la storia africana. In Pure Ali is Financial Times colloca la silhouette del boxeur Mohammed Alì, ritagliata dal quotidiano americano, su imbarcazioni che alludono alle deportazioni degli schiavi; mentre in Black Madonna, immagini di pin-up nere seminude vengono sostituite all’immagine precedente, mettendo in relazione la produzione di simulacri da parte dell’industria culturale, l’asservimento e la cannibalizzazione delle culture altre.
Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.