Dal 16 settembre al 2 dicembre la Fondazione Culturale San Fedele presenta la stagione autunnale Chiaroscuro di Inner_Spaces, la rassegna di musica elettronica e arti audiovisive che dal 2012 è un punto di riferimento a Milano per la sperimentazione e la ricerca interdisciplinare. Se l’inaugurazione vedrà coinvolti il produttore statunitense Huerco S. e l’olandese Nadia Struiwigh, noi abbiamo intervistato Lorenzo Senni, tra gli artisti del panorama elettronico italiano più conosciuti all’estero grazie alla sua pointillistic trance, che il 19 novembre presenterà una versione inedita di Canone Infinito, della durata di un’ora. Un progetto speciale commissionato da Linecheck e Inner_Spaces.

 

https://www.youtube.com/watch?v=uXBy2njO-To&ab_channel=LorenzoSenni

 

V: Sei originario della periferia di Cesena ma tutti ti identificano con Milano. Potremmo dire che questa città sia inscindibile dalla tua storia artistico-musicale?

LS: Sono quindici anni che ci vivo. Per quanto non mi veda ancora qui nei prossimi dieci, ammetto che questa città mi ha dato tanto. Mi sono trasferito a venticinque anni, perché Simone Trabucchi (Invernomuto, Hundebiss Records) mi ha invitato a condividere uno spazio con lui e altri artisti. Un collezionista di arte gli aveva dato ad uso gratuito per due anni degli ex uffici in una fabbrica dismessa a Lambrate. Lui lì fece le famose Hundebiss Nights, portando artisti in linea con la sua e la nostra visione della musica (una volta suonò in un after di Club To Club anche Kode9) e grazie a questa opportunità cominciai a farmi delle conoscenze che poi mi consentirono di produrre i primi lavori come musicista.

V: Ti sei formato in provincia, seguendo un percorso inaspettato. Guido Guidi è stato il tuo maestro, colui che sicuramente ti ha avvicinato ad un certo modo di concettualizzare e progettare gli output artistici. Però è un fotografo…

LS: Sì, nello stesso periodo in cui frequentavo il DAMS concentrandomi sulla musica, passavo le giornate a casa di Guido. Chi fosse l’ho scoperto in uno dei libri che stavo studiando per l’esame di Fotografia Contemporanea. Con sorpresa ricollegai di averlo visto più volte in casa mia e dei miei genitori, di cui era amico di lunga data, perché i miei nonni avevano lavorato come mezzadri le terre della sua famiglia. Il lato accademico della mia formazione viene da lui, non solo perché lo accompagnavo alle lezioni a Ravenna, ma perché per tre anni ho passato ogni giorno in sua compagnia, parlando, sfogliando libri, incontrando (sempre stando in un angolo!) personaggi del calibro di Stephen Shore, che dall’America passavano a Ronta, una piccola frazione di Cesena, anche solo per salutarlo. La foto del mio ultimo album Scacco Matto è di John Divola. Ero rimasto affascinato dal suo lavoro proprio sfogliando uno dei libri a casa di Guido, ed è stato un piacere e un onore poterlo incontrare molti anni dopo e collaborare con lui.

 

https://www.youtube.com/watch?v=AuVNdMfdBnw&ab_channel=LorenzoSenni

 

V: Anche sul fronte musicale il tuo percorso non è lineare. Sei noto per la musica trance ma nel tuo passato c’è l’hardcore punk.

LS: La musica elettronica l’ho incontrata a vent’anni all’università. Prima frequentavo il giro hardcore punk vegan straight edge di Cesena. Ho fatto mia quella filosofia, sentendomi sempre molto libero anche se in riferimento a questa scena spesso si tende a pensare il contrario. Al punto che contemporaneamente ho cominciato a frequentare la riviera romagnola, Rimini e Riccione con gli amici del mio paese, che invece erano l’opposto, Gabber, Hardcore-Warriors e diciamo che amavano “divertirsi”. Era però tutto molto fluido. Basti pensare che col mio bomber e i pantaloni skinny neri potevo passare da un concerto hardcore punk alle serate al Gheodrome o all’Echoes.

V: Sul fronte comunicativo credo che l’hardcore punk sia stata l’influenza dall’impatto più forte. È così?

LS: Certamente. Quel modo di comunicare molto diretto, esplicito e assertivo, che aveva alla base un forte credo, è stato fondamentale per consentire al mio approccio alla trance di affermarsi. Anche perché la mia storia musicale è più legata all’hardcore punk che alla trance, che mi aveva affascinato più per le sonorità, che avevo ascoltato nei club esattamente come su YouTube. Per i miei primi esprimenti ho dovuto chiedere delle dritte a degli amici su questo genere, perché non lo conoscevo affatto. Ai tempi del DAMS avevo iniziato a programmare e ho abbandonato la batteria. I miei riferimenti erano etichette come Editions Mego, che per cominciare cercavo di copiare. Non riuscendoci ho trovato la mia strada. I miei primi due dischi: Early Works e Dunno, erano per questo motivo molto astratti.

 

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V: Spiegaci meglio.

LS: Inizialmente programmavo software per creare dei suoni, facevo tutto col computer. Il primo synth che ho acquistato è stato il Roland JP8000, che veniva utilizzato nella prima trance. Non è stata una scelta completamente consapevole. Mi sono ritrovato a un certo punto attratto da quelle sonorità, dalla melodia e ho cominciato a tagliare dei pezzi delle tracce che ascoltavo e a fare i primi esperimenti, a partire dal tipo di synth che avevo comprato. La differenza forse rispetto ad altri è stata che io avevo alle spalle la formazione di Guido, riferimenti come Adolf Loos, il suo apprezzamento del minimalismo americano in musica. E l’imperativo a trovare sempre una giustificazione alle proprie idee, per poterle sostenere in maniera incontrovertibile. Quindi ho cercato, sempre ponendomi delle domande e costruendo un ragionamento, di portare il mio lavoro in quella direzione, per dare anche una giustificazione a me stesso per continuare a farlo quotidianamente.

V: Non hai mai pensato di mettere in discussione quel metodo e quella forma mentis?

LS: Qui entriamo in un discorso più filosofico. Diciamo che mi sono accorto che qualsiasi cosa io faccia, anche cucinare, ripropone quel metodo. È così a livello atomico, non credo si possa cambiare. Posso farlo evolvere, come un albero. Cosa che mi affascina, anche per le sue contraddizioni, però io ragiono in un determinato modo e non ho mai mollato.

 

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V: Tornando alla fotografia, un autore come Daido Moriyama forse potrebbe essere, con la sua predilezione per l’irrazionale, un riferimento per aprirti a qualcosa di diverso?

LS: Mi piace molto osservare il lavoro di Daido. Facendo un parallelismo con la mia etichetta Presto?!, c’è in me l’esigenza di coinvolgere altri artisti e di apprezzarne il lavoro. Però questo non influisce sul mio metodo. Inoltre credo che Moriyama, esattamente come Joel Meyerowitz, abbia costruito una poetica strettamente legata alla street photography, che però non può prescindere sia dall’editing, sia da tutte le azioni che vengono compiute prima di scendere in strada e che definiscono il metodo e l’approccio mentale.

V: Quindi esiste un controllo, una serie di scelte ricorrenti, che definiscono un metodo altrettanto rigoroso vuoi dire?

LS: È così, l’attenzione va posta sul processo. Anche io quando faccio musica legittimo la presenza di passaggi che non sono sotto il mio controllo. Visto che non amo sedermi e iniziare a scriverla in maniera canonica partendo dalle note. Si tratta infatti di un tipo di scelta e di ragionamento con cui non mi voglio confrontare. Per ovviare a questo problema ho elaborato un mio metodo. Prendo dei pezzi a caso in formato midi, li butto dentro a un sistemino molto semplice che ho in un synth, che ricompone questi input in maniera random e me li restituisce in un’altra forma. Da quel momento inizia la fase che chiamo Minority Report! Cioè di editing, ricomposizione e anche estasi creativa, perché comincio a tagliare note da un parte all’altra, mettendole insieme in maniera quasi automatica. Avendo trovato questa strategia faccio le cose sempre allo stesso modo, divertendomi. Cercando anche quella genuinità delle origini, sempre più difficile da trovare quando si cresce, senza la quale sarebbe impossibile produrre qualsiasi cosa.

 

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V: E la con concettualizzazione viene dopo.

LS: Sì, è un fuori controllo controllato. Dove sono i passaggi a definire il metodo, il modo di fare e di ragionare. E l’editing riveste un ruolo rilevante. Del resto la mia musica può essere apprezzata semplicemente per la melodia, quindi non serve un libretto di istruzioni. Ma sul fronte accademico, quindi su un piano intellettuale, è riuscita ad essere convincente proprio perché dietro c’è un ragionamento strutturato e una sistematizzazione metodologica.

V: Perché hai utilizzato il termine “pointillistic” per definire la tua musica trance?

LS: Quando mi sono avvicinato alla trance mi sono accorto che la parte più interessante era il build up, perché pur rispettando i canoni del genere era quella in cui ogni musicista si esprimeva più liberamente e creativamente. C’era chi lo approcciava in modo più aggressivo, chi contrappuntistico, per esempio. Così ho provato a isolarlo e ad utilizzarlo per produrrei miei pezzi. L’idea alla base di tutti i build up è di avere un suono breve in termini di durata che si apre crescendo. Nei build up più estremi all’origine di questa progressione musicale c’è un suono che sembra un punto. Quindi sono partito da lì, ponendomi alcune domande. Che cosa succederebbe se aprissi questo suono del 30% anziché del 100%? Se lo facessi in una traccia di venti minuti anziché di un minuto e mezzo? E così via. In alcuni pezzi non mi sono praticamente spostato, oppure la progressione è talmente lenta che per accorgersi del cambiamento è necessario ascoltare i primi secondi della traccia e passare agli ultimi. All’inizio quando suonavo nei club per il pubblico era spaesante, perché la cassa non arrivava mai. Non soddisfando le aspettative dell’ascoltatore, innescavo una riflessione.

 

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V: Quindi come nel puntinismo in arte visiva l’approccio è scientifico?

LS: Esatto. Al 90% sono dei tramonti, ovvero dei segmenti sonori molto emo, che però rientrano in un processo estremamente tecnico. Il dualismo presente nella mia musica è dato dal procedere in maniera molto sistematica, ordinata e precisa, quindi poco emotiva, con lo scopo di raggiungere un risultato che è esattamente l’opposto. Seurat sosteneva di vedere la scienza nei suoi dipinti laddove altri vedevano la poesia. Per me è la stessa cosa.

V: Il naming e le definizioni hanno rivestito un ruolo importante nella tua musica. Le hai utilizzate per rendere più comprensibile il tuo ragionamento?

LS: Mutilated trance, circumscribed euphoria, rave voyeurism sono definizioni che hanno un impatto comunicativo molto forte. E mi hanno aiutato nei contesti in cui il pubblico era meno preparato, perché per esempio all’Unsound sanno cosa aspettarsi, in altri luoghi meno. Mi riferisco soprattutto agli inizi. Album come Quantum Jelly o Superimpositions erano molto stretti, quasi degli esercizi di stile. Perché volevo esplicitare il mio ragionamento. Persona e Scacco Matto sono meno estremi e riflettono la mia attuale direzione.

V: Che è andare verso Stargate?

LS: [ride]. Il progetto uscito su Hundebiss, l’etichetta di Simone Trabucchi, è sempre stato l’opposto rispetto a Lorenzo Senni. Molto più libero. In Stargate c’è tutto ciò che avevo inizialmente eliminato: i vocals, le batterie, i samples. Probabilmente il mio ultimo album come Lorenzo suonerà più simile a Stargate. I miei amici lo dicono sempre. Però ci arriverò giustificando ogni passaggio.

 

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V: Che cosa presenterai al San Fedele in occasione della collaborazione tra Linecheck e Inner Spaces?

LS: Presenterò un lavoro completamente inedito. Germano Centorbi co-curatore di Linecheck mi ha avvicinato con un’idea molto precisa, ovvero suonare Canone Infinito per un’ora. Non succede spesso che chi cura eventi abbia un’idea specifica relativa al lavoro dell’artista che vorrebbe coinvolgere. Ho trovato la sua proposta molto interessante, anche perché è una traccia che suono poco dal vivo soprattutto per il fatto che non corrisponde all’energia dei festival e dei palchi che sono solito frequentare ultimamente. L’ascolto a San Fedele è molto preciso e il pubblico molto attento, questo è uno degli aspetti che mi ha convinto a partecipare. Devo ammettere che non vedo l’ora di iniziare a lavorarci e spero che questa versione espansa di Canone Infinito possa farmi felice al punto di volerla pubblicare.

 

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