Odio e violenza, dicono gli eterosessisti, hanno le loro ragioni. Ma può l’amore essere una minaccia all’ordine sociale?
Quando mi sono innamorata di una donna per la prima volta avevo da poco chiuso una storia di diversi anni con un ragazzo, quello che ti porti dietro dalle superiori e che, con il senno di poi, sarebbe stato meglio lasciare lì. Nonostante non facesse più parte della mia vita, ricordo bene quando gli raccontai della mia storia con lei. Ricordo il suo sguardo divertito. Non ha ovviamente potuto fare a meno di propormi ‘la storia a tre’: un classico. Era chiaro per lui che quello che vivevo non era reale, o meglio, poteva anche essere reale ma assumeva le sembianze di un gioco erotico nel quale anche lui doveva entrare, era suo il posto d’onore. Poi, non molto tempo dopo, capì che lui in quella storia non aveva nessun posto. Si arrabbiò, e molti furono i tentativi di riconquistarmi. Poi, dopo mesi, smise di cercarmi, si era rassegnato, chiuso. Questo non è di per sé un racconto di violenza, ma rappresenta una situazione tipica. È tipica l’ira dei genitori che vengono a conoscenza dell’omosessualità del proprio figlio, il disgusto dei compagni di scuola, dei passanti magari, quando vedono una coppia di donne o di uomini per mano, darsi un bacio. Queste sono tipiche situazioni in cui una persona lesbica o gay si trova almeno una volta nella vita io credo. Può essere un litigio con i tuoi, una battuta pesante per strada. A volte però sono insulti, bullismo, persecuzione, botte, molestie.
Non voglio dire che tutte le persone lesbiche e gay vivano la violenza nel proprio quotidiano, non lo credo. Voglio dire che la violenza è un’esperienza che è parte della vita delle persone omosessuali e pertanto va considerata con particolare attenzione. Va considerata anche perché l’Italia è uno dei 13 paesi dell’Unione Europea che non ha introdotto nel proprio ordinamento giudiziario il crimine di odio motivato da omofobia o lesbofobia; manca anche un’aggravante che, associata ad altri reati, possa comunque rendere conto delle ragioni omofobe di quegli atti e punirle. Una delle conseguenze di questa mancanza è l’assenza di un sistema che raccolga dati sugli atti omofobi, che li conti. Così in mancanza di numeri non ci resta che raccontarne le storie, perché il rischio è che a forza di non vedere queste violenze, scompaiano dalle coscienze, e questo non possiamo permetterlo. I perché di questa violenza sono molteplici. Normalmente l’omofobia così come la lesbofobia sono l’espressione di sentimenti negativi, un’avversione che si traduce in aggressioni verso componenti che si sa o si suppone di un gruppo diverso dal proprio, nel nostro caso a causa dell’orientamento sessuale. Così la sessualità diventa un campo in cui si scontrano diversi sistemi di valore. Quando si parla di eterosessismo si parla di questo: di quel pensiero che impone l’eterosessualità come unica possibile normalità e l’omosessualità come una minaccia all’ordine sociale costituito; molti dei cosiddetti hate speach, discorsi che incitano all’odio, hanno queste caratteristiche.
Non sono sempre paura e ripugnanza a determinare un’aggressione ma anche interesse personale o volontà di ristabilire quell’ordine sociale, sentimenti che probabilmente avrà provato il mio ex. Per una donna essere lesbica significa non soltanto fuoriuscire da un sistema sociale fondato sull’eterosessualità, ma ribellarsi anche ad un sistema di potere che attraverso l’attribuzione di ruoli differenti colloca diversamente uomini e donne in relazione tra loro. La sessualità delle donne è generalmente vista come funzionale a quella degli uomini: altrimenti perché un uomo dovrebbe proporre con sistematicità di inserirsi in una coppia di donne lesbiche? Una donna che dirige i propri sentimenti e la propria attrazione verso un’altra donna stravolge l’equazione e estromette il componente comunemente ritenuto più rilevante. In linea con questo ragionamento un uomo gay minaccia la virilità del genere maschile e, sottraendosi alla superiorità attribuitagli in relazione alle donne, rompe ugualmente gli schemi e per questo viene sanzionato.
Trovo curioso che si venga puniti per non aver rispettato regole, ruoli, comportamenti, per essere ciò che si è e per volerlo vivere liberamente, ma che il nostro ordinamento non riconosca né punisca le motivazioni omofobe e lesbofobe alla base di questi atti, così come avviene invece per i crimini violenti e d’odio motivati da razzismo, è inaccettabile. Dicono (i responsabili di questa mancanza) che non si può sapere con certezza quale sia l’orientamento sessuale della persona vittima e che quindi sia impossibile stabilirne le motivazioni. Così se io esco da una discoteca notoriamente frequentata da gay e lesbiche, raggiunta dalle urla “sporca lesbica di merda” e massacrata di botte, secondo i sostenitori di queste fantasiose tesi, le motivazioni di quella violenza non sono necessariamente lesbofobe, perché non si ha la certezza che io sia lesbica davvero (sic!). A questo proposto c’è una frase che mi ha colpita molto, è una regola che la polizia della Gran Bretagna usa per trattare casi di omofobia e lesbofobia: un incidente omofobo è tale quando è percepito come tale dalla vittima o da qualunque altra persona.
Intervista tratta dal magazine Clash or Dialogue? parte del più ampio progetto realizzato in occasione della XV Conferenza Ilga-Europe che si è tenuta a Torino nel 2011.