Nelle nebulose informative confluiscono immaginari, atmosfere e differenti rappresentazioni del corpo che, materia prima del sociale, si configura, anche nella sua dimensione tecnologica, come strumento, mezzo di comunicazione, oggetto di rappresentazione e luogo di espressione del soggetto. Si può dire che la presenza del sé in uno spazio non cartesiano e reticolare richiami riflessioni che partono da una duplice osservazione riguardante il rapporto fra corpo e computer. Da un lato il “virtuale che immette il corpo nel computer – trasformandolo attraverso le immagini di sintesi in realtà virtuale – e ne esalta la fisicità annullando la sua consistenza biologica, lo trasforma in “altrove”, lo raddoppia, lo frammenta, lo disperde e lo rende trasparente. Dall’altro, la posizione della comunicazione in rete, in Internet che il corpo fa scomparire offrendo in cambio, si può forse dire, nuove scoperte del sé grazie alla possibilità di esprimere aspetti multipli – e sconosciuti – della propria personalità” (Combi Mariella, in Mascio Antonella, in Franci Maria Giovanna, Muzzarelli Maria Giuseppina, Il Vestito dell’Altro, pag.58).
Questo corpo desiderante, protesi di sé stesso, è nel contempo soggetto e oggetto di manipolazione, gioco e parola; doppio inquietante che si dà in molteplici peregrinazioni, scritture e forme; luogo ed essere governato dal desiderio dell’altro e dell’alterazione. Le sue presenze possono essere fotografie, disegni, immagini bidimensionali, tridimensionali, semoventi, semplici descrizioni di sé, tutte riassumibili nella definizione di avatar, inteso come incarnazione temporanea di una persona o di un particolare stato emotivo; maschera, interfaccia, personaggio: snodo di collegamento e comunicazione tra individuo e società, utile per esprimere parti di sé che altrimenti rimarrebbero silenti. Necessario per travestirsi, per giocarsi la possibilità di essere diversi, misteriosi, incompiuti, altri per altri che si raccontano allo stesso modo, abbandonando significati stabili. Entrare nel cyberspazio infatti significa indossarlo: vestire la condizione di erranza, fluidità; incorporare una capacità compositiva nuova; trasformarsi in cyborg, in postumani, per essere nel contempo fantasia e ipocrisia, dissimulazione, immaginazione, apertura, spettacolo e oscurità.
Occorre però ricordare che questo corpo-immagine, corpo-medium, è un corpo scisso, che rende virtuale il sentire. Il cyberspazio è lo spazio stesso del gioco, in cui viene meno il peso geografico, in cui la costruzione dello spazio sociale non contempla alcun piano regolatore, alcun discorso collettivo, alcuna collaborazione. La realizzazione del mondo negli spazi altri viene definita semplicemente mediante la sottoscrizione di un abbonamento, che comporta la dimensione della privatizzazione e un’urbanizzazione indifferente che dà forma ad un paesaggio scenografico, sospeso, a tema, che si qualifica come il prodotto di una sorta di democrazia del design, che ben traduce il mutamento contemporaneo del richiamo alla collettività: accesso e simulazione. Nonostante in questi spazi si verifichino anche manifestazioni che hanno attinenza col mondo reale (come quelle che hanno avuto luogo in Second Life e There.com durante il conflitto iracheno), la differenza sostanziale da quest’ultimo è sempre giocata dalla presenza-assenza del corpo.
Nei mondi virtuali tutto scompare con un click: il dissenso, la memoria, la vita; tutto è fittizio eppure influenza e plasma la realtà innescando mutamenti cognitivi, di sensibilità, pratiche e azione. Da questa consapevolezza la necessità di muovere verso una critica al realismo videoludico e al linguaggio delle simulazioni che già si qualificano come sofisticati mezzi di propaganda: della storia, di come dovrebbe essere la quotidianità, i rapporti, la sessualità e l’identità. Molteplice ma privata, e chiusa ad un reale dialogo con l’alterità. Fortunatamente la rete non è riconducibile solo a questi spazi, in essa esistono potenzialità inattese di sperimentazione, che si realizzano non solo per la natura ipertestuale della conoscenza ma anche per via della comunicazione virale e dei casi di hacking che hanno profondamente modificato il rapporto col quotidiano e con lo spazio metropolitano.
Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.