Viaggiare è un modo per mutare, un vero e proprio “mestiere del cambiamento di forma”, un metodo per modificare la propria posizione sociale, acquisire fama, onori e ricchezze. La trasformazione dell’individuo sociale in viaggio è da tempo cosa nota; tanto che il diventare qualcun altro per mezzo del transito territoriale definisce uno stereotipo così diffuso, da non essere neppure seriamente preso in considerazione come processo di mutamento reale del carattere individuale. La familiarità delle trasformazioni sociali che il viaggio comporta induce a porre in relazione mobilità territoriale e mobilità sociale, intesa come movimento da un luogo sociale all’altro. Analizzare le trasformazioni dell’individuo sociale in viaggio significa esaminare le origini dell’identità, i modi in cui i soggetti si definiscono e si manifestano reciprocamente attraverso mutui riconoscimenti, classificazioni, riflessioni e identificazioni. L’esistenza sociale e le sue principali categorie: gruppo etnico, sesso, classe sono il prodotto di osservazioni compiute da “altri” siano essi “familiari” o sconosciuti.
Come osserva Eric J. Leed: “se le trasformazioni intellettuali del viaggio sono un prodotto del modo in cui la mobilità rende il viaggiatore un vero e proprio “osservatore”, le trasformazioni sociali del transito sono una conseguenza del fatto che il viaggiatore viene osservato da un pubblico variabile di testimoni che si preoccupa attivamente di chiarire le sue promesse e il pericolo che può rappresentare” (Leed Eric J., La Mente del Viaggiatore, p.252). Le trasformazioni dell’individuo sociale che si compiono durante il viaggio derivano da un “terreno di riconoscimenti che si sposta”, ossia da progressivi atti di identificazione che inducono a pensare che l’identità si risolva in un gioco di “specchi riflessi”, che mutando al passaggio la trasformano. Con la partenza si può abbandonare un’identità, avventurandosi verso l’acquisizione di nuove, in relazione agli incontri che il viaggio promuove. A partire dai riconoscimenti e dalle osservazioni di altri si creano quelle categorie del personaggio, quelle semplificazioni, rigidità, maschere e veli che costituiscono la realtà e l’essenza dell’individuo sociale. Per questo motivo siamo indotti a pensare che l’identità non nasca dal nulla bensì sia riconducibile alla dimensione dell’essere in relazione.
Del resto il concetto di un “io interiore” autentico e naturale, è una creazione del Settecento e del Romanticismo, mentre più anticamente l’identità della persona veniva pensata come maschera (dal latino: persona = maschera). Avere una maschera o persona, come ricorda Marcell Mauss, significava di fatto avere un nome, essere qualcuno. E proprio questo essere qualcuno può essere plasmato o mutare in relazione al viaggio, poiché vengono a mancare quei riferimenti stabili che quotidianamente lo definiscono. Viaggiare allora significa giocare con i ruoli e con le posizioni, e per questo il mestiere dell’attore è da tempo itinerante. Oggi nel campo della sociologia, per attore si intende quello sociale; mentre nel campo dello spettacolo e della comunicazione, si intende colui che interpreta un personaggio, il quale reale o fittizio che sia, può esibire gradi più o meno intensi di analogia con gli attori sociali. La differenza consta piuttosto nel fatto che, nel primo caso, l’identità rappresentata dal soggetto suole definirsi “autentica”, mentre nel secondo caso si pensa che essa venga “abbandonata” per “vestire i panni di qualcun altro” entro la cornice fornita dalla rappresentazione.
Queste considerazioni che sono il prodotto della contemporaneità e delle riflessioni sulla moderna società dello spettacolo, sono importanti per comprendere come il discorso sull’identità, storicamente sia stato ricondotto ad un carattere di immutabilità o di fluidità. Si ricorda a questo proposito come già James Boswell affrontava il problema ponendo in stretta connessione la sua professione di attore e la sua pratica di viaggiatore. Boswell affermando che “nessuno ha di sé stesso l’immagine che gli altri hanno di lui”, comprende il potere che le riflessioni dell’altro e della società hanno di plasmare, modificare e deformare l’identità. L’esperienza di vari pubblici in viaggio lo spingono a mutare continuamente volto e a partecipare consapevolmente, osservandosi, a quei processi di reciproca riflessione che si stabiliscono nei rapporti umani e che comportano l’assunzione di ruoli e la recita di parti. Egli si rifà ad una concezione più antica dell’io, come cosa esteriore e visibile, che si genera sulle superfici sociali in relazione a progressivi mascheramenti.
Per questo motivo viene in parte disprezzato dai moderni che pongono in relazione il concetto di persona con quello di identità “reale” a partire dalla “credenza” della presenza di una coscienza interiore, invisibile e immutabile che si presume la caratterizzi. Nonostante questa opinione il viaggio dimostra di essere il principale vettore delle trasformazioni sia individuali che collettive. Il gruppo in viaggio si configura come società itinerante, al cui interno i membri possono acquisire posizioni sociali e identità diverse da quelle rivestite o assunte nel luogo d’origine. L’esperienza coloniale a questo proposito è stata, per generazioni di emigranti dalle coste dell’Europa, un’opportunità di elevazione di status sociale ottenuta attraverso il transito. Per cui i mutamenti di identità, essendo un prodotto di apparenze e della loro manipolazione, hanno permesso agli europei di presentarsi ad un pubblico di altri, membri di gruppi etnici appena scoperti e sottomessi, come una “stirpe nobile” (Pyrard François, in Leed Eric J., La Mente del Viaggiatore, pag.259). La partenza in questo caso ha cancellato un passato sociale, e il transito ha permesso una nuova identificazione che ha comportato l’acquisizione di un nuovo rango. A questa stagione di transito storico inoltre possiamo far risalire l’origine di una nuova visione d’identità, di una nuova persona, nel senso originale di maschera, quella dell’“uomo bianco”, in antitesi con la “maschera più scura” delle popolazioni colonizzate e degli schiavi deportati dall’Africa.
Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.