L’attesa ci frustra, seduce, esalta. Crea l’evento. La storia fuori dalla storia del Dune di Denis Villeneuve parte da qui. Dall’essere stata un’impresa che nessuno prima aveva portato a termine in maniera soddisfacente. La trasposizione del libro impossibile di Frank Herbert; la forma che avrebbe preso quel ricco universo di casate in guerra per la “spezia”; la paura che l’intera operazione si traducesse in un blockbuster commerciale. L’attesa che ci aveva spinto in sala in occasione del Primo Capitolo si era fortunatamente trasformata nella coscienza di un “miracolo”. Denis Villeneuve aveva posto le basi per lo sviluppo del racconto di Dune, consegnandoci un lunghissimo, rarefatto e spettacolare preambolo che era sua volta un’attesa, quella del Secondo Capitolo.
L’anteprima in Sala Energia all’Arcadia di Melzo è stata un’esperienza straordinaria. Primo perché si tratta di un luogo che suggerisce una concezione di cinema che travalica la visione frontale. Secondo perché la storia di Dune ha un substrato psichedelico che Villeneuve ha restituito nelle più belle immagini della storia di Paul Atreides (Timothée Chalamet) e del suo percorso di iniziazione per diventare un ribelle, poi un Messia e forse un traditore. L’aspetto più affascinante del Secondo Capitolo è infatti la sua opacità. Dopo la morte del padre, Paul, insieme alla madre Jessica, che fa parte della sorellanza “illuminata” delle Bene Gesserit, si unisce alla tribù dei Fremen per combattere gli Harkonnen. Una Casata costituita da sosia di Billy Corgan, che levitano in spazi architettonici da turbo-futuro brutalista e gigeriano. I Fremen invece sono una popolazione del deserto di Arrakis e rappresentano il grande conflitto irrisolto tra i valori dell’Occidente, fondato sulla techne, e lo Stato di Natura. Quella diffusa visione orientalista, per cui l’alterità che vive in armonia con la Natura, viene considerata primitiva.
In questo grande film che termina con un’accelerazione narrativa funzionale alla prosecuzione della storia, merita una menzione speciale il personaggio di Feyd-Rautha, sapientemente portato sullo schermo da Austin Butler e catalizzatore dell’inserto più innovativo di tutta l’opera. In cui torna una riflessione sulla convergenza tra cinema e fumetto, anticipata dal capostipite sincretico 300 di Zack Snyder. Per gli amanti dei linguaggi basta questa parte per raggiungere l’euforia; per coloro che ricercano le storie e il divismo, non mancano le soddisfazioni di fronte alla riluttanza e successiva esaltazione del lato oscuro di Paul Atreides e di Chalamet; per chi invece non rinuncia alla macchina spettacolare: azione, esplosioni e battaglie sono serviti. Perché il Dune di Villeneuve è anche un film di guerra.