Garage art, arte povera, minimalismo trash, difficile etichettare Miguel Mitlag e la sua rivoluzione estetica. Partito da Buenos Aires alla volta dell’Europa, in un solo anno ha conquistato Berlino, e ora ci prova con l’Italia.

Courtesy Miguel Mitlag.

Parafrasando George Perec, esiste una dimensione nella vita di tutti i giorni che spesso non cogliamo. Il banale, il comune, l’abituale o come dice lui stesso: l’infra-ordinario, è una realtà familiare ma a cui non prestiamo attenzione. Troppo piccola e troppo solita, la banalità è generalmente relegata ai margini, tranne quando, ‘follia delle follie’, viene eretta a opera d’arte. Uno spirito, quest’ultimo, comune a molti artisti contemporanei, principalmente di origine sudamericana. Tra loro, Miguel Mitlag, nato a Buenos Aires e ora italiano di adozione, il cui lavoro ha trovato innumerevoli definizioni: dalla garage art, non ancora codificata, all’arte povera, più conosciuta. Il senso è il medesimo: costruire attraverso il ‘riuso’ un nuovo percorso di significazione. Nelle riflessioni di Mitlag però la ‘poetica’ si fa più spinta.

Nelle fotografie, come nelle installazioni o nelle scenografie teatrali realizzate, il punto di partenza è sempre l’oggetto nello spazio. E lo spazio in questione è la casa. Per dirla come Martin Heidegger, Mitlag abita, ossia prende possesso dei luoghi attraverso la sua arte. Durante le settimane che precedono la composizione vive con gli oggetti che raccoglie, con le ‘pseudo-realtà’ che costruisce. “Non si tratta – come dice – di un comportamento eccentrico, ma di un delicato processo creativo, in cui la componente empirica e sperimentale gioca un ruolo significativo”. Abituarsi ai materiali, selezionarli con cura, affiancarli con nuove gerarchie non ha altro scopo che quello di riflettere sulla società umana. Sul senso assegnato agli oggetti, alla loro funzione e a quel processo di usura e consumo che pur volendoli a un certo punto fuori dal ciclo di vita, non ne destituisce mai completamente il valore estetico e affettivo.

 

Articolo pubblicato su Rent, issue 05, anno 2010.