Abbiamo incontrato Craig Leon prima del live di Nommos, accompagnato da Le Cameriste Ambrosiane in una versione parzialmente orchestrale del suo iconico album del 1981, ai Bagni Misteriosi di Milano in occasione di Tranceparenti. 

https://www.youtube.com/watch?v=FlYlb7Fvv_U&list=PLpI9sWmtU7X4nC9KTk4xQGLTrHQGER6w5

È nel buio che scopriamo l’infinito, attraverso le storie di quella meta-scienza che, dai tempi di Peter Kolosimo, prende il nome di “archeologia spaziale”. Scrutando il cielo, quando viene meno il bagliore della Luna, possiamo scorgere uno spillo luminoso. Per gli egizi era Sopdet e anticipava le inondazioni del Nilooggi è Sirio e quando neanche all’alba se ne va arriva il Solstizio. È stata proprio la sera del Solstizio d’Estate a fare da cornice al secondo appuntamento di Tranceparenti, a cura del Teatro Franco Parenti, di Terraforma e di Basemental, per la riapertura dei Bagni Misteriosi, a Milano, con il live di Nommos, album iconico uscito sulla Takoma Records nel 1981. Craig Leon, noto ai più per aver lanciato gruppi del calibro dei RamonesBlondieSuicide e per il suo contributo all’evoluzione del punk e alla new wave, è stato accompagnato da Le Cameriste Ambrosiane, in una versione parzialmente orchestrale di un’opera che ha cambiato la storia della musica per il suo contenuto immaginifico e d’avanguardia, collocandosi al confine tra punk, minimalismo e New Age. “Il titolo originario”, afferma Craig Leon, “doveva essere “Anthology Of Interplanetary Folk Music”, perché la label di John Fahey, su cui uscì la prima edizione era conosciuta per la sua sofisticata produzione folk. L’ispirazione proveniva dall’Anthology Of American Folk Music’ di Harry Smith”, una raccolta che disseppellì e divulgò gran parte del landscape sonoro americano del periodo storico che va dalla fine degli Anni Venti all’inizio dei Trenta e che divenne la bibbia di musicisti come Bob Dylan, con un’influenza dirompente sul revival folk & blues dei tardi Anni Cinquanta e primi Sessanta. La fortuna del capolavoro di Craig Leon però non è riconducibile solo a questo seminale revival del folk, il suo debutto elettronico coincise con la creazione di un’opera di sonic fiction dai tratti sovrannaturali.

Craig Leon, Nommos Live con Le Cameriste Ambrosiane. Photo: Francesca Cassaro.

Sono appassionato di “supernatural fiction”, riprende Leon, “un genere letterario che, pur avendo molti punti di contatto con la fantascienza, affronta temi spirituali e alternativi, esattamente come Nommos. L’album racconta di un leggendario incontro tra i Dogon, una tribù nota in Occidente grazie al lungo lavoro svolto dagli antropologi moderni, e misteriose creature aliene provenienti da Sirio, dal corpo metà di uomo e metà di pesceresponsabili di aver portato a questa popolazione isolata del Mali la civiltà. Sono venuto a conoscenza del mito dei Nommos nel 1973, in occasione di una mostra sulla scultura dogon al Brooklyn Museum di New York. I corpi e le membra lunghissime di quelle opere d’arte mi avevano affascinato, come i loro nomi: ‘Four Eyes To See The Afterlife’, ’She Wears A Hemispherical Skull Cap’, che ho utilizzato per le mie tracce. Facendo un volo con l’immaginazione ho pensato che se i Nommos avevano insegnato così tante cose ai Dogon, tra queste, doveva esserci pure la musica!Un’enclave di primitivi, sacerdoti e cosmologi, a cui erano stati svelati i segreti delle stelle. L’idea fantasiosa di una discendenza dei Dogon dalle semi-divinità Nommos è un appiglio intrigante per interpretare le radici tribali dell’opera del compositore americano.

Craig Leon, Nommos Live con Le Cameriste Ambrosiane. Photo: Francesca Cassaro.

“Per ricreare questo immaginario folk ‘siriano’, riconducibile a delle creature provenienti da un passato arcaico e un mondo lontano, mi sono dedicato allo studio di forme musicali primordiali, soprattutto della musica africana. Ho poi inventato una mia scala a cinque note e prodotto l’album con synth e drum machine, anche se inizialmente doveva essere orchestraleLa composizione stimola il viaggio mentale, “per la sua natura programmatica, data dal linguaggio matematico”, sostiene Leon, ma anche per la relazione con il contesto. Durante la performance, la strana diffusione sonora, dovuta alla presenza dell’acqua, accentua il carattere immersivo dell’esperienza, ricreando la sensazione di quell’approdo ancestrale, che si imprime nella memoria con una scena de L’ignoto spazio profondo di Werner Herzog, dove astronauti travestiti da sommozzatori sbarcano, all’opposto, sul pianeta degli alieni, frantumando in maniera ovattata il ghiaccio che ricopre l’atmosfera verde-azzurra di elio liquido e avvicinandovisi con un lento movimento di gambe e di pinne, come in una discesa nelle profondità del mare. Loop metallici e industriali, drone e synth circolari, un largo uso di strutture poliritmiche, calate nel noise, sono gli elementi principali dell’aspetto ipnotico di Nommos e della sua allure “techno-afro-futurista”.

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“L’idea che i Nommos fossero una specie anfibia mi spinse a ricercare delle sonorità che fossero ‘subacquee’. La relazione con l’acqua del resto è il motivo per cui ho scelto di suonare su una piattaforma galleggiante in una piscina. La modernità dell’album va invece ricercata nella colonna sonora del dadaista Ballet Mécanique, composta da George Antheil. L’ultimo pezzo che ho suonato l’altra sera e che si troverà nei prossimi volumi di Anthology Of Interplanetary Folk Music’ (il nome della riedizione da parte della RVNG Intl. è quello originario) è liberamente ispirato a quest’opera ‘proto-punk’”. L’idea di una versione completamente orchestrale di Nommos accompagna la carriera di Craig Leon, che da alcuni decenni è tornato a dedicarsi alla classica. “L’aspetto pionieristico dell’album per il panorama musicale di allora è stato senza dubbio averlo realizzato interamente con synth e drum machine. Nel tempo però mi sono dedicato a una sua progressiva riscrittura, per poterlo suonare insieme a un’orchestra. L’altra sera sono stato accompagnato da un quartetto, ma i synth costituivano l’elemento centrale, esattamente come le drums che suonavo dal computer”. La monumentalità della piscina Caimi è stata il palcoscenico di una rivisitazione che ha riportato al centro di questo esperimento di speculative fiction sonora l’acqua, elemento prima di tutto immaginifico. Basti pensare al Dio d’acqua di Marcel Griaule e a tutti quei saggi misteriosofici, in cui simbolicamente rappresenta la fonte della vita.

 

Articolo pubblicato su Artribune.

craigleon.com