Il suono è un fenomeno che si origina dall’interazione tra corpo e materia. Un incontro che si pone al confine tra controllo e scoperta. Prima ancora di diventare musica, il suono è un viaggio, che conduce ad un’espansione della coscienza e ad una concezione della mente non locale. La dimensione connettiva che inaugura l’esperienza sonora assume un’importanza ancora più radicale nel momento in cui si fonda sull’improvvisazione, cioè sulla ricerca dell’automatismo, dell’impulso, sull’ingresso in una dimensione in cui sono sospese le coordinate spazio-temporali e le regole di azione e comportamento come le conosciamo.

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«La composizione avviene nella testa, mentre l’improvvisazione prevede la centralità del corpo. Il corpo è il fondamento della performance, sono i suoi movimenti, intenzionali o accidentali, ad originare i suoni. L’aspetto cruciale però è l’impulso, l’automatismo che oltrepassa la volontà della coscienza». A parlare è Kazuo Imai, figura chiave dei Marginal Consort, il leggendario collettivo d’improvvisazione giapponese, che riunisce artisti visivi e sonori, provenienti dalla Scuola di Estetica di Tokyo, che furono allievi di Takehisa Kosugi negli Anni Settanta. Famosi per tenere un solo concerto all’anno in Giappone, li abbiamo incontrati in occasione del loro debutto berlinese (un’eccezione per il 2016, che prevede due appuntamenti in Europa e tre in Giappone), curato da Manuela Benetton, nel meraviglioso scenario della St. Elisabeth-Kirche.

V: Come possiamo definire il suono rispetto alla musica? In che modo entrano in relazione?

KI: Il suono è un’onda che rappresenta il movimento. Per noi costituisce una necessità esplorativa, che attraverso la concatenazione dà luogo a una performance. La musica invece è un’esperienza che riflette la trasformazione temporale dei suoni, che si originano come vibrazioni nel rapporto tra corpo e materia.

V: Come interviene invece lo spazio? Che importanza riveste in questa trasformazione?

KI: Lo spazio è il contesto in cui avviene questo cambiamento, il luogo in cui i suoni viaggiano. Nelle nostre performance spazio e tempo sono inscindibili, perché il nostro obiettivo è promuovere un’evoluzione di entrambi, attraverso un’esperienza condivisa.

V: Parliamo ora del corpo. Vorrei approfondire la sua centralità nel vostro approccio performativo.

KI: Il corpo è il fondamento della performance, sia per il ruolo che riveste sia perché è una materia vibrante. Nelle sue vene scorre il sangue quindi emette dei suoni al suo interno, esattamente come li attiva o li inibisce all’esterno. Se il corpo sta fermo otteniamo il silenzio, se si muove, toccando gli oggetti, li fa vibrare. Nelle nostre performance questo movimento può essere intenzionale o accidentale; spesso diventa un automatismo, cioè un impulso, che oltrepassa la volontà della coscienza.

Marginal Consort, performance alla St. Elisabeth-Kirche. Photo: Carlotta Petracci.

V: Azione e reazione. Questo dualismo, rintracciabile spesso nel modus operandi dell’improvvisazione, ha un significato preciso anche per i Marginal Consort? Possiamo considerarlo come una strategia per trovare un bilanciamento tra la libera espressione dell’individualità e il gruppo?

KI: I Marginal Consort sono un collettivo, cioè un gruppo di individui che condivide uno spazio e un tempo per realizzare degli assoli. Parlare di azione e reazione significherebbe andare alla ricerca di un metodo che in realtà non esiste, perchè nulla è proibito o suggerito nelle nostre performance. Ascoltando il suono degli altri certe volte può capitare di intervenire seguendo il principio azione-reazione, ma si può anche non reagire. Io per esempio ho scelto una posizione più lontana proprio per evitare questo dualismo, per essere il più possibile estraneo a quello che stanno facendo. Ciascuno di noi rappresenta un layer, che introduce dei cambiamenti inaspettati e di varia natura, in un processo continuo e che ha bisogno di una lunga durata per evolvere.

V: Nelle vostre performance combinate strumenti, mixer e oggetti. Come scegliete questi ultimi e dove li reperite?

KI: Alcuni oggetti appartengono alla vita quotidiana, altri sono materiali, come il legno, i metalli, le pietre che utilizzo per costruire gli strumenti handmade. Alcuni li compro nei negozi, altri provengono dal mondo naturale. Personalmente scelgo gli oggetti in base al suono che emettono. Mi basta esserne attratto, senza riflettere a monte sul tipo di relazione che instaureranno con gli altri.

V: In che tipo di esperienza volete coinvolgere il vostro pubblico?

KI: Desideriamo che le persone focalizzino la loro attenzione sul tempo. Le nostre performance durano diverse ore e consentono sia di concentrarsi sui suoni, sia di viaggiare liberamente con la mente.

V: Pur trattandosi di improvvisazione, i vostri live partono da un’idea oppure no?

KI: Il suono nasce sempre da un delicato rapporto tra controllo e scoperta, ma questo non significa avere un approccio concettuale alla performance. Raramente il punto di vista dei Marginal Consort è concettuale. Non ci sono specifiche idee alla base, anche se una cosa è certa: mi concentro molto sulla scelta del suono con cui cominciare.

Marginal Consort, performance alla St. Elisabeth Kirche. Photo: Carlotta Petracci.

 

Intervista pubblicata su Espoarte.

Marginal Consort
a cura di Manuela Benetton
in collaborazione con PAN e 3333
manuelabenetton.com