Viviamo all’ombra del nostro DNA. Quotidianamente, ogni gesto che compiano, ogni oggetto che tocchiamo porta la nostra impronta biologica. Ma tutte queste tracce che ci lasciamo alle spalle, che fine fanno? Siamo certi di essere biologicamente protetti o forse siamo già sotto sorveglianza? Come sulla scena di un crimine di un futuro distopico, l’information artist newyorkese, Heather Dewey-Hagborg, lancia la sua provocazione. L’abbiamo incontrata a Berlino in occasione di Transmediale 2015, col suo nuovo progetto: Invisible, uno spray in grado di offuscare e cancellare le tracce del nostro DNA.
V: Dal 2011 hai lavorato sull’intersezione tra arte e scienza. Come sei arrivata alla bioarte?
HDH: Il mio background non è esclusivamente artistico. Al college mi sono avvicinata alla media art ma, affascinata dal “mezzo”, ho cominciato presto a seguire corsi di programmazione. Il mio insegnate di computer science mi ha introdotto all’Artificial Intelligence, di cui poi ho scoperto una sub-disciplina: l’Artificial Life, dove il codice veniva utilizzato per emulare sistemi complessi, molto simili alla vita. Queste prime esperienze mi hanno ricordato la famosa affermazione di John Cage: “L’arte è imitazione della natura nel suo modo di operare”. E ho riscontrato un forte parallelismo tra la volontà dei computer scientists di creare sistemi in grado di funzionare autonomamente e la relazione tra arte, natura e casualità, suggerita da Cage. Da quel momento ho iniziato a esplorare la connessione tra naturale e artificiale, combinando scienza, arte e tecnologia.
V: Vieni definita una “biohacker”. Cosa significa e che ricadute ha sul tuo lavoro?
HDH: Semplicemente trasferisco l’approccio dell’hacker, tipico dell’elettronica, alla biologia. Non dare nulla per scontato, scegliere di aprire le “scatole nere”, non avere paura di trasgredire e oltrepassare i confini: queste sono le caratteristiche dell’ethos dell’hacker. Sono molto vicine a quello dell’artista. Non è stato difficile farle incontrare.
V: Recentemente hai affermato che negli spazi pubblici viviamo all’ombra del nostro DNA.
HDH: Esattamente, dovunque andiamo abbandoniamo tracce del nostro DNA: capelli, sigarette, gomme da masticare, saliva sui bordi di una tazzina di caffè. Anche le cellule della pelle che rilasciamo quando tocchiamo qualcosa possono essere prelevate e utilizzate come fonte di informazione.
V: Stranger Visions è il tuo progetto più famoso. Affascinante e disturbante allo stesso tempo. Cosa volevi comunicare?
HDH: In Stranger Visions ho realizzato dei ritratti-scultura, utilizzando del materiale genetico prelevato in spazi pubblici. Lavorando con tracce genetiche lasciate involontariamente da sconosciuti, ho cercato di mettere in luce argomenti come: il determinismo genetico e la sorveglianza biologica. Pensato come un progetto esplorativo, ha anticipato riflessioni e domande molto attuali. Basti considerare la ricerca di Mark D. Shriver sulla possibilità di prevedere il volto di una persona a partire dal DNA, al forensic DNA phenotyping che, utilizzato in ambito investigativo, permette di risalire all’identità del sospettato, o al forensic phenotyping service dei nano labs della Parabon. Questi esempi sono sufficienti per dimostrare che non è stata una speculazione artistica, ma ciò che sta accadendo nel mondo in cui viviamo.
V: Hai ripreso il tema della sorveglianza genetica in Invisible. Per te è una reale preoccupazione?
HDH: Ho seguito ciò che è successo con la sorveglianza elettronica: la sua pervasività e la sua difficile risoluzione. Penso che in ambito biologico si possa scegliere un’altra direzione. Non ci sono regole per ora e si può evitare il pericolo della sorveglianza biologica di massa. Occorre però essere informati e coesi. Ho creato biononymous.me con questa finalità: istituire una community di ricerca e discussione su queste idee.
V: Da dove proviene l’idea che sta alla base di Invisible?
HDH: L’interesse per la privacy genetica è il risultato del mio percorso di programmatrice, interessata ai sistemi di sorveglianza elettronica e alle loro implicazioni sulle libertà civili. La sorveglianza elettronica negli Stati Uniti riguarda tutti: dalle corporation ai governi, dalla polizia ai cittadini. Quando ho cominciato a lavorare a Stranger Visions mi sono accorta che anche le nostre informazioni biologiche erano a rischio. Così nella mia produzione artistica e nelle mie ricerche accademiche mi sono concentrata su questa tematica. Si può fare ancora molto da un punto di vista legislativo ed educativo.
V: In Invisible ci hai presentato due spray in grado di preservare la nostra identità. Perché due e come funzionano?
HDH: Sono complementari. Erase è più indicato per le superfici difficili da pulire, come i bicchieri da drink: è corrosivo e rimuove il DNA. Replace è perfetto per quelle soft, come i tessuti, le lenzuola, la biancheria intima, perché copre le tracce biologiche confondendole nel DNA.
V: Non essere rintracciabili. Chi potrebbe desiderarlo: i criminali, le corporation, tutti noi?
HDH: Sicuramente in molti. Le persone che figurano nei DNA database, quelle affette da disordini genetici, per paura delle discriminazioni, gli attivisti, le celebrità, i politici, i sostenitori della privacy, i partner infedeli.