In occasione dell’uscita di In Blue su Hyperdub, l’album in cui The Bug aka Kevin Richard Martin ha collaborato per la prima volta con Dis Fig aka Felicia Chen, abbiamo realizzato una doppia intervista per approfondire alcuni aspetti della sua realizzazione e dell’autorialità dei due artisti. Cominciamo con Felicia.
V: Quando hai cominciato a fare musica? Quali sono state le tue prime influenze?
DIS FIG: Ho sempre amato la musica, sin da bambina. Ho cominciato cantando e suonando. Crescendo il jazz ha avuto un forte impatto su di me, poi c’è stata una fase della mia vita in cui, nonostante la passione, l’ho abbandonata. Mi sono riavvicinata quando mi sono trasferita a New York, grazie al clubbing. In poco tempo sono passata dal frequentare i locali a suonare come dj e a produrla. Mi sono addentrata in generi che per me erano nuovi: rap, hip-hop, R’n’B. Ammiro molte cantanti, ma non ho mai pensato di voler cantare come loro. Ciò che mi ispira sono il mood e l’energia di una traccia.
V: Sei in cerca di uno stile oppure ogni progetto a cui ti dedichi è differente?
DIS FIG: Direi che sono giunta alla ricerca di uno stile, anche in quei progetti in cui ce ne sono diversi. Per me c’è sempre un mood all’origine a guidare l’espressione, che traduce ciò che sento in quel momento tanto quanto ciò che voglio che il pubblico senta. Chiudo gli occhi, faccio partire la registrazione e ascolto cosa viene fuori.
V: Lo stesso vale per In Blue?
DIS FIG: Non c’è mai stata una visione a monte in questo album, si è trattato di far emergere la musica diventando intimi nel tempo, con molta onestà. Volevamo che lo stile fosse orientato al minimalismo ma non abbiamo mai ascoltato qualcosa e detto “Ci piace questa idea, replichiamola”. Abbiamo dato spazio a quello che sentivamo.
V: Perché l’avete chiamato In Blue? Il blu è considerato un colore introspettivo. Penso a Kind of Blue di Miles Davis tanto quanto a Bluebird di Charles Bukowski. Restituisce l’atmosfera dell’album?
DIS FIG: Sì, il sentire dell’album è blu. È un colore che mi fa pensare alla saudade portoghese, per esempio. Esprime molto bene come mi sentivo mentre lo stavamo producendo.
V: Come lavori sulla tua voce? Ti poni degli obiettivi in ogni progetto, come spingerla in una direzione piuttosto che in un’altra?
DIS FIG: Ammetto che quando ero più giovane la mia voce era molto più ‘educata’, mentre oggi lo è decisamente meno. Certe volte cerco di riportarla al passato, ma è impossibile. In questo album, rispetto al precedente, Purge, ho lavorato più duramente. Volevo che fosse intima, una sorta di sussurro. Ed è uscita molto diversa. Ricordo che, alle quattro di mattina, io e Kevin ascoltavamo le registrazioni e ci piaceva il risultato che emergeva quando ero più stanca, dopo aver passato ore fumando. Credo che l’aspetto più sporco l’abbia resa più onesta e vera.
https://www.youtube.com/watch?v=6O0voPibSPY
V: In un’intervista hai raccontato che attraverso la voce cerchi di fare emergere quelle emozioni, sensazioni, sentimenti che sono difficili da scoprire, provare ed esprimere nella vita di tutti i giorni. Anche fisicamente intendo.
DIS FIG: Sì, per me è un processo piuttosto naturale. Nell’album precedente, Purge, ho cercato di abbattere ogni meccanismo di difesa, lasciando uscire tutto quello che sentivo. L’obiettivo di quell’album forse è stato proprio fare un’esperienza fisica molto forte, consentendo a me stessa di viverla in maniera sicura. Richiamare un certo tipo di emozioni attraverso la voce è una specie di terapia per me. Potrei dire che utilizzo la voce esattamente come uno strumento.
V: Nello specifico che cosa cambia in questo album rispetto a Purge nell’utilizzo della voce?
DIS FIG: Come ho detto poco fa, Purge aveva una gamma di emozioni molto vasta da esprimere. Per la prima volta non ho cantato in maniera accademica, ho cercato di esplorare la mia voce, immaginando il mood. Ho fatto lo stesso con In Blue, richiamandomi però a questa visione del tunnel che è diventata il filo conduttore del progetto, fino alla copertina. L’idea di questo spazio molto singolare, senza punti di riferimento, dove poter galleggiare, muoversi liberamente ma anche trovarsi spaesati e senza meta. Volevo che i vocals emergessero dalla musica esprimendo queste sensazioni e facendole vivere all’ascoltatore.
https://www.youtube.com/watch?v=B6m26qHdvCg&t=1031s
V: An Atypical Brain Damage è un’opera sperimentale dell’artista cinese Tianzhuo Chen a cui hai collaborato realizzando la colonna sonora. L’atmosfera a mio avviso richiama sia l’horror che la fantascienza, sono due influenze reali?
DIS FIG: Confesso di non aver mai ascoltato colonne sonore di film horror o di fantascienza in passato. L’ho fatto di recente e più volte mi sono trovata a dire a me stessa: “OMG questa è la musica che voglio fare!”, perché ho trovato una connessione con ciò che produco. Nell’opera di Tianzhuo Chen c’è una forte componente psicotica e onirica (è la storia di uno scrittore), e sebbene non ci sia stata su di me un’influenza diretta del cinema di genere, ho dovuto ricreare scene analoghe nella mia mente.
V: Torniamo a In Blue. Racconta una storia?
DIS FIG: In un certo senso sì. Mentre ci stavo lavorando il suono del tunnel è diventato una visione vera e propria. Ho immaginato di trovarmi al suo interno e anche che potesse tradurre un’esperienza metaforica della vita. Uno di quei momenti in cui tutto intorno a te è dominato dal caos, in cui non sai in quale direzione ti stai dirigendo, non è possibile tornare indietro, si può solo procedere in avanti, quasi fluttuando, venendo spinti e capovolti. Ci sono esperienze, turbamenti emotivi a cui si rimane ancorati, ma che occorre lasciare andare perché tutto continua a scorrere. Si tratta di una storia riflessiva, che tiene insieme presente, passato e futuro. In parte le emozioni che veicola sono di tristezza e rabbia, ma trovo che sia una storia di empowerment, di conquista della coscienza di sé. È come ritrovarsi alla fine del giorno o come esplicita bene l’immagine alla fine del tunnel e rinascere.