Dopo venti mesi di lavoro The Bug aka Kevin Richard Martin e Dis Fig aka Felicia Chen sono pronti per uscire su Hyperdub con In Blue, la loro prima collaborazione. Un’album inaspettato, minimalista, un viaggio nella notte ma soprattutto in un tunnel dove tutto può accadere. Dove partenza e arrivo non contano più e il puro transito ci insegna a cogliere la bellezza del momento. The Bug racconta il suo punto di vista sull’album nella nostra seconda intervista.

V: La tua passione per la musica risale all’infanzia. Ci racconti qualcosa di più dei tuoi trascorsi?

KEVIN MARTIN: Nella mia famiglia la musica c’è sempre stata. Mio padre era un musicista, mio nonno era un sassofonista, mia madre la ascoltava in continuazione, aveva collocato le casse in tre stanze. Peccato che ascoltasse il peggior heavy rock mai sentito. Così disgustoso da rendere le chitarre davvero respingenti per me! La svolta però è avvenuta quando un amico, a nove anni, mi fece ascoltare i Sex Pistols. Rimasi scioccato. Quel suono mi era così familiare, corrispondeva esattamente alla mia vita. Sono cresciuto in una famiglia in cui tutti gridavano e il punk, oltre all’estetica DIY, richiamava questa sorta di caos domestico. A ispirarmi sono stati gruppi come i Crass o i Throbbing Gristle, veri e propri eroi che mi hanno ‘spinto’ a provarci. La musica è diventata in breve tempo una terapia, consentendomi di tradurre la follia che avevo intorno. Non ho mai abbandonato il caos, semplicemente la mia musica prova a navigarlo.

V: Da dove proviene il titolo dell’album?

KM: È ripreso da quello dell’ultima traccia, End In Blue, e richiama l’atmosfera generale di malinconia mista a terrore dell’album. Sensazioni che chiunque ha provato almeno una volta nella vita e che ti fanno sentire solo al mondo. Quando abbiamo cominciato a parlarne, fino alle tre-quattro del mattino, si è creato un senso di intimità molto profonda, quasi da confessione, che ha influenzato tutto il lavoro.

 

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V: Hai passato tutta la vita a sviluppare un approccio molto personale ed eclettico al suono. In questo album trovo ci siano relazioni sia col progetto King Midas Sound che con The Bug. Come ha preso forma la sua identità?

KM: La parte ritmica riprende materiale già sviluppato per il Solid steel radio show del 2018 e alcuni riddims classici jamaicani, continuando quel percorso di mutazione futuristica della dancehall che mi distingue da un punto di vista stilistico ma non solo. Ciò che mi è sempre piaciuto della dancehall è la sua capacità di coinvolgere mente e corpo. Trovo che abbia un magnetismo raro, unito a produzioni di altissimo livello. The Bug nasce entro questo contesto, con la volontà però di fare qualcosa di nuovo, non imitativo, che si ponesse in continuità col lavoro di producer grandiosi, che ammiro moltissimo, come Steely & Clevie, Dave Kelly, Lenky, Ward 21, ma con cui mi piace competere. Lo trovo creativamente stimolante, anche per trovare la mia strada, quella di realizzare appunto una dancehall più fredda, glaciale, cyber. Anche i vocalist con cui collaboro sono continuamente una sfida, per renderla più mutante.

Bug & Dis Fig. Photo: Caroline Lessire, Sylvie Weber.

The Bug però non è il mio unico progetto, lavorare per KMS mi ha spinto su un fronte opposto. Passare dalla frenesia all’implosione ha creato una sorta di schizofrenia in me, che probabilmente ha trovato una sua ‘armonia’ con In Blue. La scelta di collaborare con Felicia (Dis Fig) credo abbia contribuito a rendere ancora più singolare l’album e la sua atmosfera. Quando ho ascoltato del materiale che mi aveva inviato ho pensato che fosse perfetta. Così abbiamo cominciato un lungo dialogo, che è stato anche un modo per conoscerci, per mettere a punto quello che volevamo e confrontarci sul nostro modo di intendere la musica.

V: Cosa intendi per ‘tunnel sound’?

KM: Per me è un album da due di notte. Mi ricorda tornare a casa da un club, andare in bici alle quattro di mattina per Londra, quando non c’è nessuno, circondato solamente da nebbia e architetture che cambiano al passaggio.

V: Come hai integrato il lavoro di Dis Fig con il tuo? In alcune tracce la voce è molto presente in altre sembra quasi disciogliersi nel suono diventando più rarefatta.

KM: Mi piace lavorare con diversi tipi di vocalist. Non ho mai rinunciato a nessuno perché non cantava come Al Green o Billie Holiday! Mi piace l’interazione tra la voce umana e il suono elettronico in ogni caso, è una magica equazione matematica. Per In Blue Felicia (Dis Fig) si è impegnata molto e il suo lavoro ha influenzato e trasformato il mio. Se in alcune tracce ha ridotto la voce ad un’apparenza spettrale è perché le ho chiesto esplicitamente quel mood. Mentre in altre ho voluto che l’impatto emotivo derivasse maggiormente da lei. A me piace la musica che coinvolge emotivamente, quasi cinematica, come in questo album, che è molto sfaccettato. Adatto per essere ascoltato ad alto volume in un club, come a casa in tranquillità.

 

 

V: Quest’album però suona minimalista direi.

KM: Sì assolutamente, perché richiama l’idea di spazio profondo. È un suono molto lavorato. Anche la scelta delle parti vocali di Felicia (Dis Fig) è ricaduta su quelle venute fuori alle tre o quattro di mattina, che erano più asciutte e su cui aveva lavorato di più.

V: Hai appena citato lo ‘spazio profondo’. Quindi non hai visualizzato o fatto riferimento a luoghi come una città o uno scenario apocalittico componendo l’album?

KM: No, l’idea è quella del viaggio, intesa come puro transito che, se vogliamo, è un cliché della musica elettronica. Una celebrazione dello stare in mezzo, di quella condizione in cui si è abbandonato un luogo e si è diretti verso un altro, che però non si vede. È anche un modo per intendere il destino e andare alla ricerca della bellezza del momento.

V: Quando componi la musica prevale più la componente tecnica o emotiva?

KM: Come ho già detto per me la musica è una terapia. Faccio musica con ciò che trovo. Ho cominciato non avendo praticamente nulla, dovendo utilizzare gli studi di altri. Col tempo sono riuscito a costruire la mia piccola ‘nave spaziale’, ma mentirei se dicessi che ricordo esattamente come ho composto i suoni di questo album. Il tecnicismo trovo che rompa la magia, quel mistero che avvolge la musica, come se venisse fuori da una scatola nera. Ho senza dubbio un approccio più impressionista.