Immersa tra le colline della Technocity, c’è chi dice che sarà la città santa del futuro. Un esperimento di ‘Tecnarcato’ premoderno che ci salverà dai mali del mondo.
Non è un colle ma una valle, ad ospitare quella che Tommaso Campanella, storicamente e filosoficamente lontano, avrebbe definito la Città del Sole. Un modello ideale di società in cui sarebbero confluite tutte le arti, i saperi e gli inventori, delle diverse regioni del mondo. E non è neppure il mito divenuto realtà di Arcosanti, la città fondata nel deserto dell’Arizona, dall’urbanista Paolo Soleri, che tra eccentrica sperimentazione architettonica e verve ecologista è divenuta il simbolo di un futuro sostenibile. Quella che si trova nel triangolo, definito Technocity, tra Torino, Ivrea e Novara è un’altra storia ancora, quella di una comunità fondata sulla gioia, la magia e il reincanto nei confronti della Natura.
All’interno del circuito New Age la chiamano Damanhur, la “Città della Luce”, nata negli Anni Settanta come piccolo nucleo ‘esoterico’ intorno alla figura di Oberto Airaudi (Falco Tarassaco), e poi divenuta una delle più grandi eco-società esistenti al mondo. Ma Damanhur non è una realtà compatta, è piuttosto una città articolata e varia, che vede disseminati a macchia di leopardo in tutto il Canavese nuclei familiari di oltre seicento persone, in cinquecento ettari di territorio quasi interamente spopolato, per un totale di mille cittadini con diversi livelli di affiliazione. Sulla sua esistenza molte leggende sono state raccontate. Avvolta da sempre nel mistero, dovuto al disvelamento postumo (per l’esattezza sedici anni più tardi) dei suoi Templi scavati nelle rocce, e ricchi di simbolismi provenienti da diverse culture, per i cittadini che la abitano e che quotidianamente contribuiscono a costruirla, impegnandosi in arti e mestieri tra i più diversi, Damanhur è il sogno di una società futura, in cui uomini, cose e Natura vivono immersi in una dimensione di sacralità ritrovata.
Formica Coriandolo, il nostro Cicerone, ne ha parlato così: “Noi pensiamo che l’ecosistema sia qualcosa che vada al di là della dimensione puramente materiale. Instaurare un dialogo con ciò che ci circonda non significa però vivere di sola spiritualità. Autodefinirsi un’eco-società significa scegliere di vivere secondo principi di armonia, e metterli in pratica concretamente, giorno dopo giorno. Quando più di trent’anni fa sono entrata a Damanhur non ho mai pensato ad una fuga dal mondo. Ad attirarmi era stata la sua laboriosità”. E ancora: “La scelta di fondare la comunità proprio in questo luogo non è affatto casuale. Questo territorio si trova all’incrocio di quelle che noi chiamiamo linee sincroniche, un reticolo energetico che avvolge l’intero pianeta, in grado di trasportare una gran varietà di sogni e idee”. Circa dieci anni prima dell’esperimento damanhuriano fu infatti l’industria ‘reggente’ di Ivrea, l’Olivetti, a commissionare, poco distante dalla Valchiusella, un progetto di ‘ecocittà’, chiamato Talponia.
Un complesso residenziale per i dipendenti che avrebbe dovuto coniugare, per la prima volta, in maniera equilibrata natura e artificio. Talponia certamente non fu un modello societario ideale (né reale), fu piuttosto l’immagine di un futuro possibile, all’interno di un distretto produttivo che per molti aspetti rappresentò un vero e proprio cantiere della modernità. Diversamente, il micro-cosmo damanhuriano, con le sue “case e villaggi armoniosamente costruiti nel verde”, il suo “utilizzo ragionato di ciò che la tecnologia ha prodotto”, il suo “sfruttamento e sviluppo di energie dolci” e la sua “comunicazione attraverso sistemi di telematica, efficienti e puliti” (Delfino Mogano, Qui Damanhur, 28 agosto 1994, p.21), rappresenta uno dei più compiuti sistemi comunitari a basso impatto ambientale, costruito sulla consapevolezza dell’uomo come parte del tutto, in costante dialogo con le creature del pianeta. Una sorta di Auroville nostrana, che in quelle rocce che un tempo erano miniere, ha scavato una ‘città’ ipogea, celebrando il presente, il passato e il futuro dell’Umanità.
Articolo pubblicato su Rent, issue 05, anno 2010.