Le corpografie sono le scritture del corpo in movimento, comprese quelle dei suoi feticci visuali e le iscrizioni sul corpo del movimento, individuale o sociale, di persona come nave e anfratto di territorio in cui si materializzano molteplici reti di relazioni. Diventa però sempre più difficile distinguere tra corpo in movimento e corpo del movimento quando a muoversi sono insieme: soggetti, capitali, conoscenze, immagini, informazioni, armamenti e tutto diventa informe e impalpabile. Multi-prospettiche e ‘metrospettiche’ (da metrospectives, ovvero prospettive mobili metropolitane) visioni permettono di cogliere l’importante relazione che fonda l’abitare contemporaneo, riportando in auge la dimensione della corporeità e la sua alterità costitutiva: quella tra Barocco (termine che va definito a partire da due direttrici storico-letterarie-paesaggistiche: il barocco seicentesco e il barocco moderno, di fine Ottocento-inizio Novecento, in relazione all’affermazione benjaminiana: “l’allegoria barocca vede il cadavere dall’esterno. Baudelaire lo vede dall’interno” [Buci-Glucksmann Christine, in Tursi Antonio, Internet e il Barocco, pag.70]) e Postmoderno (o Neo-Barocco).
Se con la prospettiva rinascimentale la realtà viene costruita tecnologicamente secondo modalità simili e parallele alla scrittura alfabetica, sottraendo il mondo alla teologia e consegnandolo alla dimensione dell’umano, con lo spettacolo barocco e la spinta partecipativa del suo sguardo mobile si pongono le premesse per il superamento della rappresentazione e l’approdo a una nuova ontologia immersiva. La monadologia si trasforma in nomadologia, il sogno in allucinazione e si apre la strada a un’effettiva alterità, di cui una dimostrazione è proprio il cyberspazio, con la sua intelligenza collettiva e connettiva e la sua logica di identificazioni e impollinazioni. Il cyberspazio attesta come sconfinamento, emigrazione della mente e rapporto tattile e multi-sensoriale col mondo siano il risultato dell’intreccio di materialità e immaterialità e di una nuova forma di feticismo eroptico, che caratterizza il corpo come bodyscape. I media e la loro architettura connettendo body e landscape (in cui si ritrovano tutti gli -scapes individuati da Arjun Appadurai) forgiano il concetto di bodyscape, come flusso di panorami del corpo mobile e disseminato, e scenario metamorfico attraverso cui leggere la riprogettazione paesaggistica del reale, il legame effimero e carico, da un punto di vista semantico, tra corpo individuale e collettivo.
Tra gli esempi di questo modo di vivere e operare si possono rintracciare le strategie di costruzione dello spazio tipiche dell’urbanesimo postmoderno che, incrociando territori reali, immaginari, consumo e tecnologie, ridefiniscono l’abitare e la socialità su basi extraterritoriali e testuali, saldando la spinta all’astrazione verso il progetto di città ideali con le qualità concrete del cyberspazio, e testimoniando lo statuto effimero della metropoli contemporanea: macchina comunicante e desiderante. “Metropoli comunicazionale”, come la definisce Massimo Canevacci, in cui la trama architettonica più recente prende a prestito quella narrativa di altri campi della cultura e progetta non più solo spazi, ma traiettorie e percorsi dinamici (Jameson Fredric, in Minca Claudio, Spazi Effimeri, pag.139), da riempire col corpo e con la geometria dei propri spostamenti, che dimostrano come i media rappresentino metafore attive in grado di fornire nuove forme all’esperienza. Parole chiave diventano: multimedialità glocale, radicamento dinamico, living-in-between, getrification, mallification, hyperrealism, con le quali viene identificato il processo attraverso il quale le narrazioni percorrono lo spazio e promuovono la trasformazione in luogo, assegnandogli significato, visibilità, memoria, identità, e attraverso il quale i discorsi forgiano facciate immaginarie con propri significati e valori, i racconti si fanno città e le città racconti e simboli da consumare e immaginare continuamente.
Emblematico è il caso della gentrificazione che identifica un processo di rigenerazione di alcune aree della città legato all’arrivo di gruppi sociali ad alto reddito che, altamente mobili, necessitano di contesti urbani riconoscibili nei quali trovarsi rappresentati. Ne consegue una nobilitazione (dall’inglese gentry) che interessa aree centrali o periferiche ad alto valore storico e simbolico, volta alla celebrazione di una specifica classe di consumatori e della loro ideologia e utile all’attivazione di politiche di marketing territoriale locali che hanno come obiettivo il rilancio globale di isole fortemente identitarie e ad alto valore semantico. In queste isole, descrizione e realtà, carta e territorio dialogano a vicenda, immagini e configurazioni spaziali convergono, citandosi reciprocamente e scrivendo la storia passata e futura del luogo. Con questa messa in valore, lo spazio urbano si disgrega e si frammenta, predisponendosi, in correlazione con politiche volte alla segregazione e alla secessione, alla commercializzazione. La tematizzazione e l’intervento dell’urban design lo testimoniano, attraverso la creazione di un’immagine dall’estetica cosmopolita venata di nostalgia.
Uno stile preciso che connota la risposta rassicurante dell’industria culturale di fronte alla complessità del postmoderno, mettendo in relazione disordine apparente e disintegrazione delle funzioni dovute all’economia globale e desiderio di ripristino di un ordine tradizionale e moderno ormai perduto. Un aggiustamento di quel sentimento di crisi identitaria che interessa persone, comunità e luoghi e che riguarda l’essere perennemente in transizione e orientati alla competizione. Lo spazio gentrificato rappresenta da un lato “un riferimento materiale per la rete di significati che lotta globalmente per emergere, stupire, aggiungere ancora valore alla propria collocazione nel mercato globale”, e dall’altro “una interpretazione locale del discorso globale sulla storia, l’identità e la cultura” che per avere legittimità e successo ha bisogno delle proprietà e della qualità dei luoghi in cui decide di concretizzarsi (Minca Claudio, in Bonora Paola, Comcities, pag.186).
È in questo senso un fenomeno di trasformazione sempre uguale e differente che reinterpreta, secondo un codice collaudato, le coordinate storico-culturali dei contesti locali che cerca di recuperare o valorizzare, formulando una sorta di interfaccia che dialoga con la dimensione globale e locale insieme. Si tratta di una programmazione, della stesura di un manifesto rappresentativo e di un principio d’ordine, che nella rete legge la sua metafora e nella progettazione di aree recintate il suo modus operandi. Gli spazi gentrificati sono vetrine e commodities che, analogamente ai centri commerciali, ai theme park e a tutte le supermerci, trasformano messaggi di seduzione e potere in paesaggi da abitare e da attraversare, traducendo visivamente il bisogno di protezione, consumo esperienziale e senso comunitario tipico dell’uomo urbano contemporaneo.
Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.