Il “fallimento” del cinema al femminile, in questo periodo storico di opportunità meritate e indulgenze dovute, quest’anno ha un titolo: L’Événement, della regista francese di origini libanesi Audrey Diwan, che a Venezia 78 presenta in concorso una dramma sull’aborto clandestino, rifacendosi al romanzo autobiografico di Annie Ernaux. Può sembrare un incipit molto forte per un film che si dice abbia fatto “piangere i giornalisti” e profondamente provato, anche fisicamente, il pubblico in sala, ma il merito di queste eccessive escandescenze non va certamente alla regista, che lo sviluppa come un’abusata storia di emancipazione, tutta ideologia e, guizzo fuori dal comune, con una sensibilità body horror, se così si vuole definire la scelta di rendere concreto, carnale, visibile l’aborto, bensì purtroppo alla novità del tema, alla sua sommaria trattazione fino ad oggi sullo schermo. Che cos’è però che più respinge di questo film che pare aver raccolto solo consensi? Il fatto che nel 2021 la voce femminile non solo non abbia superato le posizioni degli anni Settanta, bensì che ancora non sia in grado di affrontare tematiche di natura etica con dei livelli di complessità degni di chi ha la velleità di farsi chiamare autore. Soprattutto nel momento in cui si sceglie di retrodatare l’argomento e quindi sottrarsi a quella pulizia materiale, a cui ci ha abituate la scienza, con la quale oggi sgomberiamo l’esistenza di un feto prima dalle nostre menti che dalle nostre pance.
La Francia provinciale del 1963 è il contesto in cui è ambientata la storia. Anne (Anamaria Vartolomei) è una giovane studentessa alle prese con le passioni liceali, le prime esperienze sessuali e i sogni dell’età adulta. Siamo quasi alle porte del Sessantotto e nell’aria si respira quella frattura tra genitori e figli che porterà ad una vera e propria rivoluzione politica, sociale e di costume. Nonostante ciò il rapporto tra i generi è sbilanciato. La donna si trova ancora in una condizione subalterna, stritolata da una mentalità arroccata agli anni Cinquanta ma con dei desideri di indipendenza, libertà ed emancipazione assolutamente nuovi. In questo territorio di confine Anne si muove con disinvoltura, il suo carattere determinato la guida nel rapporto con gli uomini, con la famiglia e le amicizie. Eppure sarà proprio lei la vittima di questo sistema ancora fortemente repressivo nei confronti della sessualità. Quando scopre di essere incinta comincia il suo calvario, poiché si tratta di un’epoca in cui l’aborto non è legale: chi lo sceglie e lo pratica può finire in prigione. L’isolamento a cui è condannata è l’elemento caratterizzante di un travaglio silenzioso, dovuto all’impossibilità di affrontare apertamente l’argomento, vero e proprio tabù, ma anche alla presa di distanza, quasi inorridita, di tutte le persone (amicizie comprese) a cui timidamente cerca di confidarlo per trovare una soluzione. Anche il rapporto con i medici non è facile e Anne è costretta, dopo aver tentato una soluzione fai da te, a ricorrere a una mammana, vendendo libri e averi per pagare l’intervento clandestino e sottoponendosi a tutti i possibili rischi, tra cui la morte.
Emerge in maniera cristallina da questa storia un argomento tornato attuale, che riguarda l’autodeterminazione, ovvero: il corpo di una donna di chi è? Fino a che punto la società può intromettersi nel rapporto tra un essere umano e il proprio corpo? Diritti e libertà sono stati una conquista amara pagata con il sangue e la Diwan lo vuole ricordare, concentrando la sua attenzione esclusivamente sulla protagonista, privandola però di chiaroscuri. Avendo delineato in maniera poco approfondita le relazioni con l’intorno, è la performance di Anamaria Vartolomei a restituire quella complessità che manca alla sceneggiatura: troppo aderente al romanzo di partenza, priva di scelte forti capaci di sganciare l’autorialità della Diwan da quella della Ernaux, e soprattutto da quell’autobiografismo che, pur raccontando una storia comune alle donne di ieri e di oggi, impedisce di elevare il film sia sul piano poetico che su quello delle riflessioni etico-morali. L’Événementè un film chiuso in se stesso, che non lascia spazio ad altre letture, a dubbi, a controversie, a tutto quello che ci si aspetterebbe, in tempi decisamente più maturi, da un’opera che affronti il tema dell’aborto dal punto di vista femminile. Nonostante ciò rappresenta un ulteriore tassello per continuare ad affrontare i tanti “non detti” del cinema: dalle posizioni delle donne agli eventi e argomenti che hanno segnato (e continuano a farlo) il difficile rapporto con una società che lentamente si sta smarcando da un’impostazione patriarcale.