Da Venezia 79 il nuovo film di Paul Schrader presentato Fuori Concorso. Un’altra prova della sua maturità artistica e registica, ma non siamo ancora al film di fine carriera destinato a rimanere nella Storia del cinema.
Certe volte un ritorno ravvicinato non è una buona cosa. Si rischia di non riuscire a staccarsi dagli schemi e dai ricordi. Di leggere in maniera troppo lucida le persistenze, le similitudini, le ancore. Vi chiederete che senso abbia questo termine, proprio ora, proprio qui, che si parla di cinema. Ma le ancore per noi esseri umani sono tutto, come le maschere. Sono il modo migliore per nasconderci e non salpare mai. Quindi per non perderci e rischiare di cambiare. Così ci domandiamo: non è che Paul Schrader queste ancore le abbia conficcate un po’ troppo nella sabbia? La risposta potrebbe essere no: l’anno scorso ci ha raccontato la storia di un collezionista di carte. Quest’anno di un orticoltore. Anzi quest’anno ha fatto di più, ha preteso il nostro consenso già dai titoli di testa, quando ci ha suggerito (o forse l’abbiamo immaginata noi) la citazione del video di Bird 1 degli Underworld. Che finezza! Ma non basta.
No, perché le ancore di Schrader ormai le conosciamo molto bene: la contrapposizione tra Bene e Male, la redenzione, il bisogno di salvare un potenziale agnello sacrificale (meglio se una giovane donna “interrotta”), l’archetipo dell’uomo solo, con un passato da nascondere ed espiare, l’amore romantico, che fino ad oggi (per fortuna) era stato impossibile. Se Schrader ha spesso e volentieri raccontato la stessa storia, non possiamo dire che i suoi film siano tutti uguali. Certo l’immaginario militare in senso lato è una costante psicologica, prima di tutto, col suo dissidio (interiore ed esteriore) tra ordine e disordine, tra la caserma e la trincea, per dirla in maniera metaforica, ovvero la scelta privilegiata per caratterizzare i suoi personaggi maschili, anche se, da vero maestro della sceneggiatura, ci ha sempre consentito di varcare la soglia di mondi più reali della realtà. Schrader è il primo uomo mascherato e l’irriducibile che non vuole cambiare mai, che teme l’alterità più di ogni altra cosa, pena la perdita dello schema, dell’identità. Pena la crisi vera di coscienza, quella creativa, la distruzione provocata dall’amore viscerale, il Big Bang e un nuovo inizio.
La seconda tesi, dopo la visione di Master Gardener, il suo nuovo film fuori concorso a Venezia 79, è che Paul Schrader stia percorrendo la stessa parabola di Drake (perdonate l’analogia per pochi, trattandosi di campi differenti), ovvero da “agitatore” della New Hollywood stia finendo col museificare i propri valori, le proprie esperienze, i propri riferimenti culturali, introducendo alcune variazioni, necessarie a rendere le opere contemporanee, per compiacere un pubblico popolare, forse anche femminile. Sono dunque i suoi film materia viva? Sicuramente sì, a giudicare dagli applausi in sala, dalla ricercatezza della scrittura, dalla ricchezza delle metafore. La cura sembra essere il cruccio dell’uomo, dietro allo scrittore, che invecchia, dell’umanità dietro al personaggio, il cui fine ultimo è l’amore, non solo per una donna, ma per ciò che culturalmente gli era stato insegnato a respingere e combattere. Una scelta che in alcune scene dischiude un forte potenziale erotico e sovversivo. Ma che apre anche a riflessioni più alte, sull’universalità del concetto di amore. C’è poi tutta la sfera del femminile, che passa attraverso i profumi e le varietà dei fiori, ma che il protagonista, Narvel Roth, coltiva prima di tutto dentro se stesso. L’espiazione della colpa, il cammino verso il cambiamento (quello lineare che può avvenire solo in sceneggiatura) si traduce nella conoscenza del femminile, quindi anche delle donne, nelle due versioni delineate: la lolita ribelle e meticcia, la vedova arcigna e materna, in cui disincanto, gelosia, bisogno d’amore e giochi di potere si incontrano e completano. Sorvolando sulla trama, l’impressione è che in questo mondo squisitamente estetizzante, dove i conflitti sono diventati più soft, anche se non mancano scene violente, Schrader abbia dato prova della sua maturità artistica e registica, abbracciando quella svolta avviata con First Reformed, lasciando però il campo aperto ad un quesito: sono davvero questi i temi che tormentano l’animo di un uomo che invecchia e che ha esordito interrogandosi sul “trascendente nel cinema”?