Nei nonluoghi della ricostruzione storica e geografica dove Utopia e Altrove da sogni diventano temi per la creazione di ambienti e la messa in scena di esperienze: cultura e divertimento sono indistinguibili tra loro. Quest’ultimo in particolare si riduce a un immaginario prefabbricato da consumare, che si materializza ripetendo sempre le medesime forme vuote. Il passaporto di Euro Disney è la chiave di accesso a un mondo iperreale, a una dimensione euforica dell’esistenza, a uno spazio che travalica tutti i confini metafisici della modernità: un mondo spensierato che reifica il nostro spazio utopico, un modello “reale” che insegna alla realtà come renderci felici, uno spazio sociale alternativo dove si consuma un’originale forma di libertà intimamente connessa al suo carattere anti-identitario. Lo spazio turistico dei nonluoghi e l’anonimato dei rapporti che lo regolano, priva il turista-visitatore dell’identità e delle responsabilità connesse al rapporto col luogo, del sentimento di appartenenza e del radicamento forniti dal territorio. L’identità si risolve nelle identificazioni con molteplici immagini di sé; e il luogo, ridotto a paesaggio, fa da sfondo all’avventura, alle infinite possibili divagazioni dalla condizione abituale.
Lo spazio asettico e pattugliato dei nonluoghi offre paradossalmente la dimensione originale dell’anonimato, una forma di libertà individuale, solitaria, che rappresenta il terreno ideale per le grandi migrazioni a sfondo implicitamente sessuale che il turismo contemporaneo registra. Lo status turistico istituisce una sorta di identità temporanea, effimera, che fa del nonluogo il suo ambiente ideale e necessario. E il turista una volta identificato all’ingresso, entra in una parte specifica, in un ruolo temporaneamente esonerante e leggero. Col termine nonluogo allora si designa la condizione spaziale del turista contrassegnata da una ipermobilità e da un distanziamento che comportano lo smarrimento del “senso del luogo”: di quel senso di appartenenza, di identificazione e di coesione comunitaria che trasforma in maniera orientata uno spazio in territorio. Il turista è un soggetto disancorato, che interpone tra sé e il mondo il filtro dei media, entrando a far parte di un territorio fluttuante che di sé dà molteplici immagini e rappresentazioni. Il suo passare tra i luoghi li oggettiva e riduce a cose, promuovendone la conservazione, la museificazione, la riproduzione e la ricostruzione. Non a caso il processo di estetizzazione che interessa le città contemporanee le sta progressivamente trasformando in veri e propri musei viventi, luoghi della memoria postmoderna, dove al recupero del passato e della storia si preferisce la loro spettacolarizzazione e promozione pubblicitaria.
Questo genere di turismo culturale e romantico che spinge verso la valorizzazione di piazze, monumenti, architetture, comporta uno svuotamento del loro significato, connesso all’oblio della memoria e alla mancata appartenenza a una prospettiva storica in divenire. La postmodernità non riconoscendo più alcun valore al passato – in relazione alla messa in discussione delle ideologie della modernità: dalle grandi narrazioni al progresso -, finisce con l’interpretarlo alla luce del presente, riducendolo a una riserva di immagini e temi da recuperare e usare nella ricostruzione di ambienti artificiali, siano essi: musei, villaggi tribali, parchi a tema storico-archeologico, living museum, megamall o waterfront riconvertiti. Qui la storia facendosi paesaggio si perde tra i suoi simulacri e diviene memoria concentrata e edulcorata: utile per la produzione di un senso effimero da applicare a contesti immaginari. Così accade negli heritage site, musei viventi di recente concezione, mondi a sé, dove si infrangono le tradizionali barriere tra realtà e finzione, cultura e divertimento ed è possibile operare un vero e proprio viaggio nel tempo, attraverso la partecipazione fisica e emotiva al momento storico riprodotto.
Il piacere deriva dal confondersi con le comparse che li popolano, collocandosi contemporaneamente dentro e fuori dal tempo, in un mondo altro in cui le relazioni quotidiane sono sospese e sostituite dalla loro parodia. Da ciò l’ansia per la credibilità, l’iperrealismo, la cultura della riproduzione che, mediante la ricostruzione di ambienti “autentici” e di luoghi della socialità sapientemente spruzzati di “passatezza”, cercano di sopperire allo svuotamento della storia e al carattere effimero di una comunità che esiste solo attraverso la propria performance. Questa museificazione in tempo reale persegue due obbiettivi: da un lato trasmettere un senso liberatorio dalle incertezze del presente e dall’altro garantire il ripristino di un ordine semplificato del mondo e della storia. I parchi tematici, o più in generale tutti i nonluoghi turistici, nel loro carattere conchiuso ed esaustivo sono una metafora spaziale molto efficace per riferire della complessità e dell’irrapresentabilità del mondo contemporaneo dominato dall’eccesso di immagini, rappresentazioni, spazi e tempi.
L’Heritage Park di Calgary, a questo proposito è un esempio eloquente di spazialità postmoderna. Nato negli Anni Sessanta con il proposito dichiarato di preservare da un lato l’autenticità storica dell’insediamento originario e dall’altro di “coinvolgere, informare e divertire i suoi ospiti in un’atmosfera capace di offrire un’esperienza heritage rappresentativa del Canada occidentale nel periodo precedente la prima Guerra Mondiale” (WTERC, in Minca Claudio, Spazi Effimeri, pag.113) si configura come un universo frammentato e interamente ricostruito all’insegna del pastiche e della confusione degli stili. Qui la memoria che si fa paesaggio non rimanda che a sé stessa; il presente rompendo col passato nega la possibilità di qualsiasi riflessione critica. La discontinuità della ricostruzione del passato e la visione nostalgica dei resti storici sono lontani dal significato della storia come referente culturale e sociale; riferiscono semplicemente del bisogno dell’uomo contemporaneo di attualizzare ogni cosa, negando in questo modo non solo lo sguardo retrospettivo, ma anche quello proteso verso il futuro. La tendenza a storicizzare gli spazi turistici diventa un modus operandi globale, che non interessa solo le attrattive artificiali, come: parchi tematici, heritage site o megamall, ma anche porzioni di città o interi villaggi. L’Inghilterra di oggi, nota a questo proposito John Urry, rischia di trasformarsi in un museo vivente, per via della tendenza sempre più spinta a conservare, nei villaggi e nelle cittadine di particolare suggestione storica, un ambiente intatto e congelato (Minca Claudio, Spazi Effimeri, pag.116).
Questo processo di conservazione e recupero dei luoghi cari alla memoria finisce col determinare straordinarie trasformazioni territoriali e socio-culturali. La museificazione del quotidiano comporta infatti la creazione di vere e proprie città tematiche, dove alla messa in vetrina degli oggetti storici fa da corrispettivo quella di intere comunità. La vita vera della popolazione locale si confonde con un ideale, con una visione ipostatizzata della storia, che però dà luogo a una geografia urbana originalissima nel suo genere. Il paesaggio che ne deriva è cinematografico: realtà e finzione sono confuse a tal punto, che gli abitanti veri, nel corso delle loro occupazioni quotidiane, sono deputati a recitare il ruolo di comparse. La trasformazione di queste città in luoghi storico-turistici ne fa dei simulacri puri, copie di realtà mai esistite o di cui si è persa la memoria referenziale. Ancora una volta spazialità effimere, che pur parlando del luogo si reggono sul nonluogo, diventano dei locali: punti o nodalità a cui fa capo la rete del turismo globale. Il territorio che si fa turistico si ripensa in funzione della propria immagine; un’immagine che ben lungi dal cristallizzarsi è in perenne evoluzione.
Esempi eloquenti di questo complesso processo di mutazione sono gli spazi turistici maturi, che riformulano continuamente la propria geografia a partire non solo dalla pluralità di rappresentazioni che li riguardano, ma anche dalle modalità e dalla rapidità con cui le trasformano. Si tratta, come nel caso di Bali, di interi territori che a seguito di progressive ondate turistiche si specializzano per poli funzionali, dando vita ad una geografia a punti e salti tipicamente postmoderna. La fase più matura dello sviluppo turistico di alcune destinazioni lontane e periferiche evidenzia la coesistenza di plurime geografie a cui fanno da corrispettivo differenti tipologie di turismo: da quello esotico-nostalgico che muove verso la ricerca dell’autenticità perduta, a quello tipicamente postmoderno che vive sul nonluogo e si riproduce all’interno di microcosmi artificiali. Interi territori si stanno così trasformando in metropoli dell’effimero: paesaggi convulsi in perenne costruzione e decostruzione, all’insegna del consumo culturale e esperienziale. La competizione per lo spazio innescata dallo sviluppo turistico finisce con lo spaccare il territorio, sprigionando sempre nuovi ordini e gerarchie: progressive zonizzazioni e polarizzazioni. In particolare nei paesi in via di sviluppo dove il tappeto delle funzioni moderne che “copre” il territorio dei paesi più avanzati è praticamente assente, oppure è allo stato embrionale, le logiche largamente a-territoiali del turismo postmoderno promuovono salti di spazialità che danno vita a coesistenze difficili da gestire (Minca Claudio, Spazi Effimeri, pag.79).
Lo sviluppo parcellare di microcosmi turistici facendo saltare il concetto di contiguità territoriale, determina una riorganizzazione spaziale che materializza logiche postmoderne: esaltazione della separatezza e dell’esaustività, ricostruzione allegorica quasi pretestuosa dell’intorno, discontinuità rispetto all’esterno segnata anche da barriere fisiche, implosione dell’immagine e trionfo del simulacro. Si tratta di frammenti di un reticolo globale – come del resto sono gli universi Disney o i megamall americani – che, immettendo significati altri all’interno dei territori, finiscono con l’innescare profondi processi di de-territorializzazione e divaricazione sociale che oppongono globali e locali, e locali tra loro. La degenerazione del loro intorno è sintomatica dell’incapacità dei sistemi territoriali d’accoglienza di metabolizzarne la presenza attraverso il mantenimento della propria identità, autoreferenzialità e autonomia. L’apertura totale ai flussi turistici, tipica dei paesi in via di sviluppo, determina la compresenza e il conflitto di logiche di produzione di senso endogene e esogene, che promuovono de-territorializzazione e polarizzazione, alterazione della fisionomia territoriale e aumento della complessità, perdita di rappresentatività da parte del sistema e riorganizzazione dello spazio geografico e sociale secondo logiche di segregazione.
Il paesaggio che ne deriva è dissonante, discordante, discontinuo e instabile – sia per i locali che per i turisti – ed è attraversato da continui processi di deterritorializzazione e riterritorializzazione che si succedono e si sovrappongono. A fronte di questa situazione nelle destinazioni turistiche mature la segregazione spaziale acquisisce un duplice risvolto: da un lato separa la realtà ovattata dei resort da un esterno che mostra i dolori di qualsiasi destinazione del Terzo Mondo; dall’altro oppone il turismo opulento alle altre forme di turismo: di massa o culturale. A Bali la specializzazione di marca turistica ha comportato una vera e propria zonizzazione, che contrappone: le enclave del lusso di Nusa Dua, alle atmosfere assordanti festose della giovane Kuta, ai distretti artigianali dei piccoli villaggi dell’entroterra, ai lembi di territorio non ancora contaminati. Segue una geografia a strati sovrapposti, che lascia convivere nuove logiche reticolari con vecchie centro-periferia; che insegue gli impulsi del mercato e si realizza in funzione delle immagini che provengono dai paesi occidentali; che si costruisce e decostruisce a partire dai percorsi che temporaneamente la segnano. Geografia sognante, evanescente, immaginaria, incomprensibile, imprendibile, polifonica; geografia tipicamente postmoderna, per cui: “Bali it’s all you want it to be!” (Connell, in Minca Claudio, Spazi Effimeri, pag.102).
Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006.