“The old world is dying, the new world struggles to be born: now is the time of monsters” (Antonio Gramsci). Potremmo dire la citazione della svolta narrativa, invero quella che dà senso a tutto il film. Di cosa stiamo parlando? Beh, della proiezione di Oranges Sanguines (Bloody Oranges), secondo lungometraggio dello sceneggiatore e regista Jean-Christophe Meurisse, presentato fuori concorso alla 74esima edizione del Festival di Cannes. Senza dubbio una scoperta di quelle capaci di toccare tutte le corde emotive, di tirare fuori istinti e pulsioni, di parteggiare per la cattiveria, la vendetta, la brutalità e addirittura la tortura, perché si sa, almeno una volta nella vita (e forse più di una), a tutti è data l’occasione per diventare dei mostri. O perlomeno, a tutti nel film! Non senza riderci sopra sguaiatamente. Il talento di Meurisse sta infatti nell’aver messo in scena una satira ferocissima della società, riuscendo a far passare orrore e pornografia (che convergono in una delle scene più rivoltanti, se non della storia del cinema, sicuramente di quello recente) come i due soli generi capaci di rivelarci la natura ultima dell’essere umano.
Il film, la cui scrittura trae ispirazione da un evento realmente accaduto (che non raccontiamo perché sarebbe uno spoiler troppo crudele), segue tre linee narrative che convergono grazie al personaggio più sopra le righe di tutti (in teoria, ma non in pratica!): il maniaco sessuale che vive isolato, in compagnia del suo gigantesco maiale addomesticato. Tra gli altri personaggi incontriamo: una coppia di pensionati convinta di riuscire a saldare i propri debiti, che non vuole confessare ai figli, vincendo una gara di ballo; il ministro delle finanze che si rivela un evasore fiscale, la cui fortuna prende una piega stortissima quando è costretto a bussare alla porta di uno sconosciuto (chi sarà mai?), per colpa dell’auto in panne; un’adolescente, che dopo una visita ginecologica surreale, decide di perdere la verginità col ragazzo che le piace, che si rivela uno strazio a letto e lasciando la festa galeotta si imbatte in uno sconosciuto (chi sarà mai?), a cui però questa volta va piuttosto male; un avvocato, figlio della coppia di anziani, chiamato a difendere sia il ministro che la ragazzina.
Insomma una storia corale dove cliché e temi ricorrenti (da ricordare l’inizio, in cui i giudici della gara di ballo si danno del filo da torcere discutendo i criteri di premiazione, restituendoci una commedia scatenata che non risparmia nessuno: dalle donne ai diversamente abili, dai sostenitori agli oppositori di Macron, dai giovani agli anziani, ai dipendenti pubblici frustrati) vengono usati, triturati e ribaltati. Se il finale regala un’apertura e una strizzata d’occhio al pubblico, e tutto il film una grande quantità di dialoghi taglienti, accelerati e caustici, poco prima c’è spazio anche per il dramma, o meglio, per un drastico cambio di registro e un’incursione nelle derive estreme che può prendere la disperazione. In Oranges Sanguines comico e tragico sono dosati con grande intelligenza, passando dalla commedia sofistica a quella più ‘volgare’, senza dimenticare la rabbia di chi si sente o è stato ferito e una riflessione esistenziale, breve ma efficace, sul senso della vita e dell’amore nel confronto con la morte.