È di alcuni giorni fa la notizia della conferma della cerimonia della 65esima edizione dei Premi David di Donatello, da parte di Piera Detassis, Presidente e Direttore Artistico dell’Accademia del Cinema Italiano, che si terrà l’8 maggio in diretta su RAI 1. Abbiamo avuto l’occasione di intervistare Francesco Grisi fondatore, insieme a Pasquale Croce, di EDI – Effetti Digitali Italiani, una delle società più importanti in Italia nel campo degli effetti visivi. Nominato insieme a Gaia Bussolati (altro supervisore ed anche lei socia di EDI) per i Migliori Effetti Visivi VFX per Il Primo Re di Matteo Rovere, con le sue quindici candidature. Ecco cosa ci ha raccontato, dandoci l’opportunità di respirare un po’ il sogno americano, ovvero l’idea di un cinema dove il realismo non sia necessariamente reale.
V: Facciamo luce su un comune fraintendimento. Che cosa distingue gli effetti visivi da quelli speciali?
Francesco Grisi: L’effetto speciale riguarda tutto ciò che accade davanti alla macchina da presa, mentre quello visivo interessa la fase di post-produzione o più in generale quello che succede dietro. Un’esplosione, una persona agganciata a un cavo sono effetti speciali. Mentre tra gli effetti visivi rientrano gli interventi che vengono fatti sull’immagine una volta che il film è stato ripreso. Il più semplice in assoluto è la dissolvenza, che oggi si fa direttamente in montaggio, ma è la base dell’effetto visivo. I primi risalgono a Georges Méliès. Oggi negli effetti visivi si comprendono gli interventi sulle immagini fotografiche, la creazione di immagini di sintesi, 3D o generate totalmente al computer.
V: Quali motivazioni ne determinano la scelta?
FG: Si ricorre generalmente agli effetti visivi quando un effetto speciale costa troppo, è molto pericoloso o non si può realizzare. In tutti questi casi vengono ricostruite le situazioni, in parte o per intero. Naturalmente ciò che può essere ripreso, si riprende. Una persona attaccata a un cavo a un metro d’altezza la si riprende e poi viene cancellato il cavo, ma se deve essere sospesa a un chilometro di altezza, dove ci vorrebbe una mongolfiera, una soluzione decisamente complicata e costosa, allora si privilegiano il green screen e la ricostruzione del fondo.
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V: Qual è l’effetto visivo più complicato che avete realizzato?
FG: Ci sono diversi gradi di complessità nel nostro lavoro. Da un lato interessano la parte tecnica. Facendo un esempio concreto, potrei citare lo spot realizzato per WWF, che richiamava l’attenzione sul nostro modo di relazionarci con l’ambiente, sostenendo che se lo avessimo trattato come abbiamo fatto fino ad oggi, gli orsi polari, per le future generazioni, sarebbero rimasti semplicemente delle animazioni 3D. L’obiettivo era far credere allo spettatore di guardare filmati dove fosse protagonista un orso polare vero, svelando solo nell’ultima inquadratura che non lo era. Abbiamo quindi realizzato l’orso e tutta l’ambientazione, con un fotorealismo molto fedele. Poi ci sono altre difficoltà che emergono solo in corso d’opera. Ne Il Primo Re di Matteo Rovere, la sequenza iniziale dell’inondazione era stata pensata in un modo che non è stato possibile realizzare sul set, così abbiamo dovuto introdurre delle variazioni in tempo reale.
V: Come siete passati dalla piscina gigantesca che si vede nei making of del film alla sequenza dell’esondazione?
FG: La funzione della piscina, che doveva avere una corrente continua, era quella di simulare la situazione in cui Romolo e Remo, interpretati da Alessio Lapice e Alessandro Borghi, venivano trasportati dalle acque del Tevere. Per cui non solo gli attori dovevano stare al suo interno, ma sono stati anche lanciati degli oggetti, per rendere più credibile l’esondazione e la distruzione che provoca una corrente così impetuosa. Questo risultato doveva essere ottenuto con un sistema di pompe, che nella realtà non ha funzionato. Quindi sotto la pressione del set, abbiamo dovuto trovare velocemente un’altra soluzione. Siamo riusciti a ricreare le onde con una moto d’acqua. I due attori sono stati filmati in un punto preciso della piscina con due metri quadrati intorno, che ci hanno consentito di ricostruire tutto il paesaggio e lo scenario in 3D. Per ottenere la massima resa fotorealistica, Gaia è andata con una troupe a fare delle riprese a un fiume in piena in Colombia, che sono state utilizzate come sfondo. La parte iniziale dell’ondata che investe i due attori invece l’abbiamo ottenuta con un’impalcatura che rovesciava a comando i duemila litri d’acqua della piscina lungo uno scivolo.
V: In che modo il comportamento di un elemento naturale reale è stato integrato in uno scenario digitale?
FG: Prima di tutto abbiamo ricostruito gli elementi della location. Prendiamo il caso in cui l’onda oltrepassa gli alberi e ricade nella vallata. La muraglia di alberi è stata ricostruita in 3D ed è stata sovrapposta a quella reale. Quindi quando l’ondata, che è quella realizzata con lo scivolo, incontra gli alberi, che nella realtà sono fermi, si muovono quelli realizzati in digitale. La combinazione degli alberi finti e di quelli veri, sotto l’impatto dell’onda, ci ha consentito di ottenere quella situazione di sradicamento e caduta, che non avremmo mai potuto ricreare sul set.
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V: Come immagini e calcoli i movimenti degli alberi sotto la spinta di un’ondata di quella portata?
FG: C’è una fase di ricerca iniziale in cui si guarda molto materiale. Ore e ore footage di inondazioni, di acqua che scorre, sia da National Geographic, sia user generated contents di YouTube. È il normale processo di creazione del nostro lavoro. Osserviamo la realtà per ricrearla a nostro piacimento. Per Il Primo Re c’è stato in particolare un film spagnolo, The Impossible, da cui anche Rovere ha preso spunto per la regia, che abbiamo utilizzato come riferimento per immaginare che cosa sarebbe successo sul set e come riprenderlo.
V: Parliamo ora del duello, dove i due fratelli combattono uno col coltello e l’altro con l’ascia. In che modo avete ottenuto il realismo delle ferite?
FG: Abbiamo girato tutto senza lame e le abbiamo aggiunte in post-produzione. Siamo intervenuti sulla pelle dove veniva infilzata, ma la qualità del risultato è stata ottenuta combinando due tecniche: il 3D con il make-up di Andrea Leanza. Il sangue è stato fatto il più possibile dal vero, con delle sacche nascoste che esplodevano al momento giusto. Quando questa soluzione non ha funzionato, siamo intervenuti in post-produzione, ricreando gli schizzi o modificandoli. Solitamente i produttori preferiscono scegliere tra effetti speciali, come il make-up,
e visivi. Il Primo Re anche in questa scelta si è dimostrato un progetto capace di introdurre delle novità rispetto al contesto italiano.
V: Quanto è durata la fase di post-produzione rispetto al lavoro per intero?
FG: Noi siamo entrati in chiusura dello script intervenendo su alcune scene. Suggerendo quali tagliare, perché sarebbero state troppo problematiche, e quali valorizzare. Insieme abbiamo fatto lo storyboard e delle riunioni con i vari dipartimenti per decidere come fare le riprese. Poi siamo stati presenti sul set e infine è cominciata la fase di post-produzione che è durata sei mesi. Mentre tutto il progetto, quattordici.
V: Il vostro lavoro però non si ferma al cinema e alla pubblicità. Ne la serie Il Cacciatore avete realizzato la vostra prima creatura. Possiamo considerarla una nuova direzione tutta da esplorare?
FG: Sì, il cinghiale de Il Cacciatore è stata la prima creatura che abbiamo realizzato per intero. Potremmo dire, quella che ha visto la luce perché in realtà abbiamo cominciato a lavorare sulle creature alcuni anni prima, quando Matteo Garrone doveva partire con Pinocchio. Era preoccupato perché in Italia non c’era nessuno che le sapesse fare e stava valutando di rivolgersi all’estero. In quell’occasione abbiamo deciso di provarci. Attivando il nostro network di conoscenze, abbiamo trovato un ragazzo che lavorava da Weta Digital, una società neozelandese che è il riferimento internazionale più importante per il nostro settore, e complice il suo desiderio di ritornare in Italia, gli abbiamo chiesto di aiutarci a far partire un reparto di creature. Su Pinocchio alla fine non abbiamo lavorato, ma ne Il Cacciatore abbiamo raggiunto un livello di dettaglio piuttosto alto, se si considera che in una scena, quando viene abbattuto, arriva praticamente in primo piano in macchina.
V: Che cosa si intende con la parola ‘creatura’ e quali complicazioni comporta la sua realizzazione?
FG: Si tratta di tutto ciò che ha una vita propria. Può essere animale, soprannaturale, umana, ma anche un pupazzo. Presentano una serie di complessità, tra cui i movimenti, la parola, gli abiti o la pelliccia. In più devono avere una personalità, non solo in senso psicologico ma anche comportamentale. Un certo carattere può emergere da un preciso modo di camminare. Senza dubbio è la parte più creativa del nostro lavoro, da un punto di vista tecnico ma soprattutto legato all’acting del 3D.
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V: In ZeroZeroZero, la serie basata sull’omonimo romanzo di Roberto Saviano, vi siete occupati di tutti i VFX di cui larga parte erano matte painting. Puoi spiegarci più in dettaglio di cosa si tratta?
FG: È una tecnica che veniva utilizzata per dipingere degli sfondi su un vetro che veniva posizionato tra la macchina da presa e la scena che si stava girando, immergendovi gli attori. Per esempio, potevi riprendere due attori di fronte a un palazzo normale e poi introdurre questo vetro dove era disegnato un palazzo futurista, alto 47 piani. Con il digitale l’utilizzo di questa tecnica è diventato ancora più massiccio. Tempo fa abbiamo fatto un film dove c’era una tempesta di neve. Abbiamo girato gli attori in un parcheggio che camminavano su quattro metri quadrati di neve e intorno abbiamo fatto il matte painting del Monte Bianco con la tempesta. Su ZeroZeroZero abbiamo realizzato diversi interventi di questo genere, oltre alle sparatorie naturalmente. Perché oggi è richiesto maggiore realismo per quanto riguarda i colpi, gli impatti e il sangue.