Conosciuto per aver diretto video per Perera Elsewhere, HTRK, Leila e Black Cracker, il duo artistico multidisciplinare, formato da Tikul e Mi$ Gogo, rende liquidi i confini tra realtà e virtualità. Passando per gallerie, festival e Boiler Room, continuano ad ammaliare con le loro surreali esplorazioni audiovisive.
V: Come sono nate le Pussykrew?
Tikul: Pussykrew era il nome del collettivo con cui Andrzej, già nel 2004, firmava le sue collaborazioni audiovisive. Io a quei tempi studiavo fashion design. Mi sono interessata ai new media un paio di anni più tardi. Ci siamo conosciute a Dublino, nel 2006, ad un festival di cortometraggi. Andrzej lavorava in un’agenzia di post-produzione e io come assistente nel comparto IT. Entrambe portavamo avanti progetti creativi ma abbiamo iniziato a lavorare insieme nel 2008, seguendo un approccio multidisciplinare. Anche la nostra estetica è cambiata, siamo partite con l’analogico, con montaggi molto veloci di immagini glitchate e in un secondo momento ci siamo orientate verso una componente più slow, decisamente più sensuale. Nel 2009 ci siamo trasferite in Inghilterra per studiare digital media e abbiamo realizzato il nostro primo progetto audiovisivo noise: Domestic Violence. Poi è stata la volta di Berlino, abbiamo vissuto lì tre anni impegnandoci in progetti di maggior respiro, come l’installazione al Platoon Kunsthalle e B | W | R, presentata alla Saatchi Gallery, a Boiler Room e in molti altri visual gigs internazionali.
V: Origini e spostamenti hanno influenzato la vostra ricerca artistica?
Mi$ Gogo: Abbiamo lasciato la Polonia nello stesso periodo. Entrambe volevamo viaggiare, sondare nuovi orizzonti, fare esperienze. Negli ultimi dieci anni abbiamo cambiato quattro volte residenza. Siamo nomadi, al punto da cercare di ridurre sempre più la nostra “casa tecnologica” per poterci spostare con facilità. Ogni luogo è fatto a modo suo, sicuramente incide nella nostra ricerca ma la voglia di sperimentare fa parte di noi e del desiderio di oltrepassare continuamente i nostri limiti. Non credo siano state la Polonia o Berlino ad aver influenzato il nostro lavoro da un punto di vista concettuale o estetico, certamente gli hanno dato una direzione.
A Berlino, per esempio, abbiamo collaborato molto con l’industria musicale, perchè la città è una delle piattaforme internazionali più conosciute per la club scene. Nonostante i suoi stimoli e la sua ampia comunità creativa, oggi forse, preferiamo luoghi dove le cose accadono più velocemente, più affini alla nostra individualità forte e dinamica. Ci affascinano le architetture futuristiche e i paesaggi sintetici. Città come New York o le grandi metropoli asiatiche sono sicuramente più vicine alla nostra energia creativa. Abbiamo bisogno di esplorare realtà urbane più perturbanti anche se viverci può essere più difficile.
V: Il viaggio è un tema interessante. Che tipo di viaggiatrici siete?
T: Siamo delle irl e url travellers. Onestamente non so se il nostro lavoro sia ispirato dall’idea di viaggio, ma sicuramente è trippy come la nostra vita. Ci piace creare realtà surreali, luoghi che sembrino familiari anche se non lo sono. E lo facciamo utilizzando simbologie ricorrenti e giocando col senso del tempo e dello spazio.
V: Siete dichiaratamente multidisciplinari, una tendenza oggi accentuata dall’uso della tecnologia. Cosa ne pensate?
MG: La tecnologia libera e consente infinite possibilità di sperimentazione. A limitarci per ora sono solo il numero di processori e la scheda grafica. L’accesso ai tools cambia molto velocemente e noi non smettiamo mai di imparare o migliorarci. I nostri interessi sono vari: spaziano dalla video arte, alle perfomance audiovisive, alla creazioni di immaginari generati dal computer, al design, alla stampa 3D fino alle esplorazioni sonore. Usiamo tutti gli strumenti che servono per esprimere le nostre idee e cerchiamo di combinare differenti media. Questo è ciò che ci interessa principalmente.
V: Nei vostri lavori ci sono linguaggi ed estetiche che provengono dal mondo digitale e post-digitale ma allo stesso tempo c’è una forte presenza del corpo. Di quale corpo stiamo parlando?
T: Un cybercorpo, un corpo circondato e connesso con la tecnologia, senza generi, mutante. Un corpo che sia libero da qualsiasi norma sociale o identità forzata, sensuale e aperto. Il corpo è un oggetto complesso, può essere il luogo di grandi trasformazioni e della rappresentazione di sé stessi. Forse nei nostri lavori appare come reazione al digitale, ma rimane comunque un corpo futuro e aumentato.
V: Cambiate spesso linguaggi e tecniche di rappresentazione. Sembrate avere una visione molto fluida dell’identità. Possiamo definirla postumana, metamorfica, oppure?
T: Da un punto di vista creativo ci muoviamo “in-between”. Non ci identifichiamo in maniera precisa. Per noi è importante interagire con diverse comunità e sperimentare. I nostri lavori vengono veicolati attraverso luoghi e piattaforme differenti: dai club ai festival, dalle gallerie agli spazi artistici indipendenti, dai corporate enviroments alle università. Abbiamo un approccio esplorativo, e credo sia questo a definire la nostra identità. Per quanto riguarda i riferimenti al postumano, per noi si tratta più di immaginari, corpi aumentati, ispirazioni che ci portano a creare bio-sculture e a lavorare sulla moltiplicazione, decostruzione, deformazione e fusione del corpo umano con componenti elettroniche. Poi c’è l’aspetto della fluidità da un punto di vista concettuale, di pratica artistica e restituzione estetica. Il nostro universo è molto liquido, si compone di acqua, olii, sostanze sintetico-organiche.
V: Materialità e virtualità. Rendete sempre molto porosi i confini tra queste due realtà. Che cosa accadrebbe se poteste iniettarvi in rete?
MG: I confini tra virtualità e materialità non possono essere rigidamente definiti. La virtualità è una forma di realtà. Molti dei nostri lavori si muovono lungo questo confine. Creiamo sculture 3D che traducono l’estetica digitale in oggetti fisici, determinando un displacement percettivo e tattile. Allo stesso tempo facciamo scansioni 3D di corpi e oggetti reali per immetterli in mondi virtuali. “Che cosa succederebbe se potessimo iniettarci in rete?”. Noi ci sentiamo come se ci fossimo già iniettate e ci trovassimo da qualche parte come sostanze eteree. La nostra vita, il nostro lavoro creativo, i nostri amici dipendono da questo grande network, che è il nostro principale canale di comunicazione. Se davvero ci fosse la possibilità di abbandonare il nostro corpo per esistere liberamente online, sicuramente intraprenderemmo anche questo viaggio.
V: Ispirazioni classiche, echi di commistioni tra naturale e artificiale che danno luogo a una giungla sempreverde, costituita da piante, stampe, video installazioni e sculture 3D. Che cos’è esattamente Biome?
MG: Si tratta di un’installazione site specific, ispirata dagli interni barocchi dello spazio che l’ha accolta. Siamo state invitate da Glamcult Studio, per partecipare con un progetto a questa mostra, che ha avuto luogo alla Replay Boardroom Gallery di Amsterdam. Volevamo lavorare in sinergia con lo spazio, ricreando degli ambienti attraverso la combinazione di stampe e sculture 3D, video installazioni e piante, che restituissero questo aspetto da irl jungle. Da ecosistema contemporaneo, immersivo, ludico, tropicale: in bilico tra naturale e artificiale.
V: Molti artisti provenienti dal campo dei new media si ispirano agli immaginari della fantascienza, dei videogame e della realtà virtuale. Voi come vi muovete tra questi scenari utopico-distopici?
T: Entrambe da bambine, e ancor più da adolescenti, siamo state influenzate dai film di fantascienza americani e giapponesi: Blade Runner, Terminator, The Lawnmower Man, Tetsuo: The Iron Man. Poi da David Cronenberg, Chris Cunningham, dai classici del cyberpunk, come Rubber’s Lover e 964 Pinocchio. Gli Anni Ottanta e Novanta, tra cultura pop e underground, hanno avuto un forte impatto su di noi, venendo filtrati ripetutamente dal nostro subconscio. Sono visibili nei nostri lavori ma si sono mescolati ad altre suggestioni, in un processo continuo di scansione e reinterpretazione di storie, simboli e metafore. Non possiamo dire altrettanto per i videogame che non hanno rappresentato un grande territorio di scoperta, o almeno, non quanto la realtà virtuale che, da un punto di vista progettuale, ci incuriosisce molto. Tra utopia e distopia, preferiamo decisamente la seconda, la troviamo concettualmente ed esteticamente più interessante, con tutto il suo corredo di immaginari confusivi. La distopia rinvia alla paura che il genere umano nutre nei confronti del futuro, che per noi è sempre affascinante e positivo, anche quando si esprime con modelli apparentemente ‘negativi’. Forse la nostra è un’utopia della distopia.
V: Il vostro sguardo non è nostalgico. Avete affermato che ripropone una sorta di bilanciamento tra violenza e bellezza. Che cosa intendevate esattamente?
T: Semplicemente che siamo libere dalla nostalgia del passato e che troviamo pace nel nostro caos creativo quotidiano. Bellezza, desiderio e violenza hanno punti di contatto molto forti. Spesso ricorriamo a simbologie apocalittiche che vengono sottoposte a un processo di grande estetizzazione. Nella video installazione B | W | R abbiamo ricercato proprio questa suggestiva combinazione di violenza cerebrale e bellezza aliena.
V: Oltre alle vostre esplorazioni audiovisive, avete lavorato con alcuni dei protagonisti dell’avanguardia musicale internazionale: Perera Elsewhere, HTRK, Leila, Black Cracker, Visionist, per citarne alcuni. Come nascono le vostre collaborazioni?
MG: Spesso lavoriamo con amici o con persone con cui condividiamo ispirazioni e gusti. Questo ci consente di muoverci più liberamente e anche di avere un interscambio più proficuo. Il video che abbiamo realizzato per Black Cracker, per esempio, era basato su una scansione e decostruzione 3D del suo corpo che poi è stata inserita in un ambiente virtuale sempre progettato da noi. Tide faceva parte della global campaign MadeByYou realizzata da Converse a Berlino.
V: Passiamo alla moda, forse il più fluido e metamorfico di tutti i mondi. Il corpo della moda è perennemente in transito, tra generi, estetiche, linguaggi e arti. Avete qualche novità da raccontarci?
T: La nostra estetica e il nostro approccio devono molto alla moda, per questo siamo felici della recente collaborazione con Long Clothing, dove il nostro immaginario 3D è stato stampato su tessuti e abiti. Vogliamo continuare a lavorare in questa direzione. L’idea di trasformare i nostri ambienti cgi in oggetti reali ci entusiasma. La moda però ci interessa più da un punto di vista scultoreo che di abbigliamento in senso stretto. Ci chiediamo cosa potremmo fare a partire dal corpo: moda sperimentale, sculture indossabili.