A partire dall’analisi delle diverse caratteristiche dello spazio: esclusività, presenza di confini, vicinanza, distanza, migrazione, ci si interroga sulla capacità che queste hanno di influenzare le relazioni sociali e determinare vecchie o nuove percezioni ed esperienze. Sono infatti le proprietà spaziali a creare le condizioni per l’instaurarsi di particolari forme relazionali. Lo spazio è fondamentale nella configurazione delle cose, significa per ciò che contiene, per le forme di convivenza che produce al suo interno e, in questo senso, appartiene alla società, a ciò che vi accade, all’esperienza di chi lo abita. Questo approccio alla spazialità esalta le potenzialità dei soggetti, le loro “attività dell’anima”, i sensi di cui sono dotati e attraverso i quali entrano in contatto con la vicinanza e la distanza, con il limite, il confine e l’appartenenza, con la dimora e la sua assenza. La modernità, segnata da un’esperienza dello spazio strettamente connessa alle caratteristiche dell’economia di mercato, circoscrive le relazioni di scambio e la produzione di valore e di senso all’ambito nazionale.
Relativamente alle caratteristiche della vicinanza e della distanza si osserva infatti che le relazioni intellettuali e oggettivo-impersonali, tipiche di quest’epoca, concretizzano nel confine l’annullamento della vicinanza motivando, in questo modo, la produzione di un’identità solida e monolitica. Nell’attuale fase storica, postmoderna e postfordista, invece, la progressiva smaterializzazione e virtualizzazione dello spazio di comunicazione e di contrattazione apre una riflessione relativa alle conseguenze dell’estensione dei processi di interazione economica e culturale su scala globale. A questo proposito, per comprendere meglio l’impatto e le trasformazioni spaziali indotte dal rapporto tra spazio fisico e immateriale della comunicazione, occorre compiere un’incursione nell’ambito della letteratura scientifica evidenziando due filoni all’interno dei quali si possono circoscrivere le molteplici riflessioni che interessano il campo dei media tradizionali e dei new media.
La prima direzione comprende il filone di studio che, fino ad oggi, ha avuto più peso e in relazione al quale lo spazio (inevitabilmente connesso al fattore tempo) viene identificato con la realtà fisica delle dimensioni. Le distanze, alla luce di questa valutazione, sono considerate contemporaneamente come ostacolo e stimolo per il progresso dei mezzi di informazione, la crescita dei processi di produzione e di socializzazione, lo sviluppo delle transazioni commerciali, delle relazioni nazionali e internazionali. Da questo punto di vista, lo snodo da fissare è costituito dal momento in cui la velocità delle tecnologie di comunicazione supera la velocità dei mezzi di trasporto. Si ricorda infatti che storicamente la divulgazione della parola e dell’immagine è dipesa dalla velocità dei mezzi di locomozione (cavallo, carrozza, nave, treno, automobile, aereo, ecc.) sino a quando non si sono affermati quelli di comunicazione, come il telegrafo, il telefono, la radio, la televisione e il computer. Questa svolta avviene quasi interamente nel Novecento che, in tal modo, si rivela non solo come il secolo della relatività, mettendo in discussione la realtà stessa delle categorie del tempo e dello spazio, avviata sul piano empirico dallo sviluppo dei mezzi di trasporto, ma anche come l’epoca in cui la tecnologia dei media, riducendo a zero i tempi di trasmissione tra emittente e ricevente di qualsiasi forma di riproduzione o finzione della realtà, azzera anche la qualità estensiva dello spazio.
Marshall McLuhan descrive le conseguenze di questo processo rifacendosi alla metafora del “villaggio globale”, con la quale intende riferire di un mondo che, reso improvvisamente piccolo dalla potenza comunicativa dei media radiotelevisivi, non si esprime più solo attraverso le qualità estensive dei suoi territori geopolitici ma anche e soprattutto attraverso le qualità intensive dei suoi linguaggi. Medium e messaggio rappresentano la medesima cosa, non perché il mezzo si imponga come contenuto della comunicazione ma, al contrario, perché il soggetto, che fa da contenuto reale del messaggio, cambia sostanza e corpo, nella misura in cui gli è concesso di spostarsi (pur restando fermo) con la medesima rapidità delle informazioni che acquisisce. Il vasto panorama analitico fornito da McLuhan negli Anni Cinquanta, interamente fondato sulle trasformazioni percettive soddisfatte e innestate dalle innovazioni tecnologiche in quanto protesi del corpo, sollecita una riflessione più approfondita che apre la strada al secondo filone interpretativo relativo allo studio dello spazio.
La posizione che si vuole richiamare all’attenzione è quella che pone in stretta relazione il discorso sullo spazio con le cause e gli effetti prodotti dai media, con la loro intrinseca proprietà di “fare spazio”. Si tratta di un filone di ricerca che, al contrario del precedente, è più diffuso nei campi della filosofia e della sperimentazione artistica rispetto a quello della sociologia della comunicazione. Infatti, lo spazio della tradizione sociologica, resta vincolato a teorie che, pur riconoscendo una differenza sostanziale tra spazio fisico e spazio sociale, cioè l’insieme di relazioni dotate di senso che supportano un determinato contesto territoriale, finiscono per interpretare questa seconda dimensione della vita in un quadro sistematico rigido e piuttosto statico. Non nel senso che non vengono messi in rilievo gli sviluppi dei sistemi sociali, riconoscendo il ruolo che i linguaggi espressivi possono svolgere al loro interno, ma perché sostanzialmente riconducono ogni mutamento sempre allo stesso modello di società, dunque di spazio, di fatto fisico. Per cui anche fattori come l’innovazione delle piattaforme espressive, non mutano la sostanza dell’esperienza sociale ma solo le sue articolazioni interne.
Saggio tratto da Extended Mind. Viaggio, comunicazione, moda, città, a cura di Carlotta Petracci, anno 2006. Riflessioni sullo spazio tra realtà, media e virtualità. Parte I.