Era il 1964 quando Terry Riley compose In C. Dopo più di cinquant’anni, di interpretazioni del brano che ha aperto la strada al minimalismo, nell’ambito della XXI Esposizione Internazionale e all’interno della rassegna “Music After Music”, abbiamo assistito ad un’esclusiva perfomance che ha riunito sul palco del Teatro dell’Arte della Triennale di Milano, il compositore californiano accompagnato dal figlio Gyan Riley e da un gruppo di musicisti malesi.

Photo Chris Felver
Terry Riley. Photo: Chris Felver.

La ricerca della spiritualità nella ripetizione, della musica come esperienza mistica ed estatica, di trasporto verso l’Altrove, rappresentano la più importante chiave interpretativa del percorso di Terry Riley, della sua continua ricerca tra improvvisazione e composizione, che lo ha reso famoso come uno dei padri del Minimalismo e figura chiave di un’importante svolta nella musica occidentale, ispirando personaggi del calibro di Steve Reich, Philip Glass, John Adams e gruppi come The Who, The Soft Machine, i primi Velvet Underground e i Tangerine Dream, per citarne alcuni. Tutto ebbe inizio nel 1962, quando Terrence Mitchell Riley insieme alla moglie, dalla California, raggiunse Parigi. Furono le innumerevoli notti nebbiose, trascorse suonando il piano in un fumoso bar della capitale francese, tra businessmen e giovani prostitute, ad aprire uno squarcio su un universo sconosciuto, che lo avrebbe portato nel 1964, rientrato a San Francisco, a comporre In C (ovvero In Do), un brano modulare, tanto semplice quanto pionieristico, da essere considerato lo spartiacque di una rivoluzione. Ripetizione di pattern musicali senza melodia.

Portrait de Terry Riley après son concert organisé dans le cadre de Lille 2004, capitale européenne de la culture. Pape de la musique californienne photographié devant son palais des Glaces.

La prima volta che In C fece la sua comparsa dal vivo, fu al San Francisco Tape Music Center, un centro di grande sperimentazione e un punto di riferimento per la musica elettronica, dove Riley collaborò con amici di vecchia data: i fondatori Pauline Oliveros, Morton Subotnick (che presero parte alla perfomance), Ramon Sender e molti altri. Il carattere ipnotico e sospeso delle composizioni di Riley è legato ad altri due importanti momenti della sua vita artistica: l’incontro con La Monte Young – che già nel 1960 stava portando avanti un lavoro che si fondava sull’idea di stasi e di lunga estensione temporale di un ristretto numero di note, che successivamente vennero riconosciuti come i principi fondativi del minimalismo – che lo introdusse a John Coltrane, al Japanese Gagaku e alla musica classica indiana; e quello con Pandit Pran Nath, che divenne suo maestro. L’immersione nel raga indiano ma soprattutto l’intero universo musicale di Pran Nath ebbero un impatto quasi religioso su di lui, contribuendo all’evoluzione della sua filosofia musicale. Se In C rappresentò l’inizio di una nuova era per via della sua struttura, che doveva molto alla musica nord africana – in particolare marocchina, che iniziò a studiare a Parigi – sono molte le influenze che evoca, tra cui la musica indonesiana che Riley conobbe però molti anni più tardi. La natura aperta del brano ha determinato un grande varietà di interpretazioni. Tra queste In C Mali, la sua prima versione africana, pubblicata su Transgressive Records e parte del progetto Africa Express a cura di Damon Albarn. L’11 settembre in occasione della XXI Esposizione Internazionale, all’interno della rassegna Music After Music, al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano abbiamo assistito ad una esecuzione proprio di questa versione, proposta nell’ambito di un programma dedicato alla carriera del grande compositore californiano. Terry Riley al piano, accompagnato dal virtuoso Gyan alla chitarra, ha aperto la perfomance, che è proseguita nella seconda parte in compagnia di un ensemble di musicisti del Mali, che con strumenti tradizionali, prevalentemente corde e percussioni, hanno contribuito a ridare vita a questo classico della musica minimalista.

 

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