Era davvero tempo per David Fincher di tornare alle origini? Domanda in realtà semplicistica perché non possiamo propriamente dire che The Killer, presentato in concorso alla Mostra Cinematografica di Venezia, sia un film in grado di rileggere e reinventare il passato di un autore che ha saputo creare un nuovo immaginario per il thriller dark.

 

The Killer, David Fincher.

 

Sembra più un’operazione che corre sul filo dell’estetica, non per farsi maniera, ma denunciando una certa stanchezza. Pensare che si tratti di un progetto caldeggiato per un decennio non aiuta di fronte al profondo disappunto scaturito dalla visione. Le atmosfere le riconosciamo, anche quel peculiare colore un po’ marcio della fotografia quando viene lasciato spazio alla penombra, cifra stilistica inconfondibile, ma familiarizziamo con un nuovo protagonista: un sicario a contratto, interpretato da Michael Fassbender. Senza troppi giri di parole: volutamente respingente. Algidamente zen potremmo definirlo, perché alla componente della freddezza, cioè del necessario distacco dalle emozioni, va aggiunta la propensione a ripetere a se stesso, come un mantra, di non deragliare mai dal piano. Non è un caso che i dialoghi siano centellinati e la voce di pensiero onnipresente, scelta che appesantisce molto la narrazione, per quanto sia funzionale nel restituire la solitudine, il logorio e la banalità dei momenti di attesa che quella professione comporta. La noia che prova lo spettatore ha molto a che fare con l’immedesimazione.

 

The Killer, David Fincher.

Qualcosa però accade. Il sicario per la prima volta sbaglia, uccide un’altra persona al posto della vittima ed è costretto alla fuga. Scappa dalla polizia, ma il suo vero timore sono le ripercussioni dell’errore, che non tardano a manifestarsi. Comincia così un viaggio a tappe, costellato da cambi di identità, che prende la forma del revenge movie, perché ovviamente la punizione interessa sempre i legami più stetti, soprattutto in assenza del ricercato. È proprio a questo punto che il film diventa prevedibile. La vendetta fila liscia di città in città, il killer non sbaglia un colpo, né direzione, né bersagli, e per quanto stia sviluppando una coscienza, l’imprevedibile che sarebbe potuto scaturire dall’errore diventa a sua volta il piano, da seguire in maniera impeccabile. Difficile credere che lo sceneggiatore sia quel Andrew Kevin Walker che fece la fortuna di Fincher con Seven, per quanto l’ispirazione sia una graphic novel.

 

The Killer, David Fincher.

Il ritorno alla collaborazione con Trent Reznor e Atticus Ross, la presenza di Tilda Swinton e dello stesso Michael Fassbender non bastano a risollevare un’opera a cui mancano originalità e spessore. Tanto da apparirci alquanto immotivato l’entusiasmo del suo regista in conferenza stampa, ancor più perché autentico. Eppure il lavoro sulla psicologia dei personaggi per Fincher è sempre stato una costante nei film, senza dimenticare il brillante caso di Mindhunter, per quanto concerne la serialità. E non si può neppure invocare la partnership con Netflix, nella randomica ricerca di una responsabilità, pensando ad una omologazione ai suoi contenuti, perché col regista di Denver ha portato più di una volta a produzioni di qualità. Siamo curiosi di scoprire cosa ne penserà il pubblico all’uscita in sala e sulla piattaforma. Sospenderanno in giudizio in nome del mito di Fincher?